Contentino UNESCO sulla cucina italiana? Fusaro risponde a Barbero! ▷ “Ha ragione ma anche torto”

Il 10 dicembre 2025, a New Delhi, il Comitato Intergovernativo dell’UNESCO ha iscritto “La cucina italiana tra sostenibilità e diversità bioculturale” nella Lista Rappresentativa del Patrimonio Culturale Immateriale dell’Umanità. Si tratta di un riconoscimento storico: per la prima volta, una tradizione culinaria nazionale viene premiata nella sua interezza, non limitata a singoli piatti o tecniche. La candidatura, lanciata nel 2023 dai Ministeri dell’Agricoltura e della Cultura, sottolinea come la cucina italiana non sia solo un insieme di ricette, ma un complesso sistema culturale. Dalla pasta fresca al vino, dal pane artigianale ai formaggi, ogni elemento riflette una biodiversità unica, radicata nelle diverse regioni italiane, ma che non impedisce l’esistenza di un’identità italiana vera e propria. E’ ciò che spiega Diego Fusaro in diretta ai nostri microfoni.

“Barbero ha ragione e torto insieme”

E’ emerso anche recentemente un dibattito piuttosto vivace“, spiega Fusaro, sul “se esistesse o meno un’identità italiana a tavola sul piano gastronomico. Ad esempio lo storico e divulgatore Alessandro Barbero, e non è il solo a dire il vero, ha detto che non esiste un’identità italiana a tavola perché esistono le identità dei territori. Barbero ha ragione e torto allo stesso tempo, perché è vero che esistono le identità dei territori, nemmeno delle regioni, ma dei territori, dato che un territorio può essere condiviso da più regioni e una regione può avere più territori. Però va anche detto che, a mio giudizio, con il massimo rispetto per la tesi di Barbero che è condivisibile, però esiste anche un’identità italiana a tavola che io nel mio libro, La dittatura del sapore, ho individuato nella pasta, o come dicono i francesi, giustamente, le paste, dato che sono plurali. Trovi ovunque un tipo specifico di pasta, ma la trovi ovunque. Questa è la specificità identitaria della nostra Italia“.

Il gastronomicamente corretto secondo le élite

Viviamo in tempi in cui anche il cibo deve essere sottoposto alle analisi della politica. “Noi siamo ciò che mangiamo”, commenta il filosofo,” anzitutto sul piano identitario e culturale, ancora prima che sul piano biologico, essendo l’uomo l’unico animale che pensi il cibo, ma poi anche che lo elabori, lo trasformi, lo cucini, lo allevi, lo coltivi e così via. C’è un sapere del sapore. Questo aspetto bisogna tenerlo bene a mente quando si affronta una questione del cibo che non è soltanto una questione scientifica, medica o quant’altro. Oggi purtroppo il discorso sul cibo tende a organizzarsi solo in senso medico-scientifico. La scienza pretende di dirci cosa dobbiamo mangiare o non dobbiamo mangiare. Ma noi mangiamo o non mangiamo anche su basi identitari e culturali. In questo senso io faccio sempre l’esempio delle larve, degli insetti e dei grilli, il nuovo pasto globalista o, se preferite, la cancel culture a tavola. Perché noi non vogliamo mangiare larve, insetti e grilli anche quando ci dicono che fa bene all’ambiente, alla salute ed è scientificamente evoluto?

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