Siamo sicuri che non si lavorasse col favore delle tenebre?
Negli ultimi mesi la Commissione parlamentare d’inchiesta sulla gestione dell’emergenza Covid ha riportato al centro del dibattito pubblico un tema che sembrava sedimentato: come fu realmente deciso il primo lockdown nazionale del marzo 2020.
Le audizioni dei membri del Comitato tecnico scientifico (CTS), dei dirigenti del Ministero della Salute e dei protagonisti di quei giorni stanno infatti delineando un quadro più articolato di quello emerso dai verbali desecretati nel 2020.
Secondo gli atti già noti, il 7 marzo 2020 il CTS aveva indicato la necessità di chiusure territoriali mirate, concentrando le misure più restrittive sulla Lombardia e su alcune province di Veneto, Emilia-Romagna, Piemonte e Marche. Invece, tra l’8 e il 9 marzo, la risposta politica cambiò radicalmente: prima le chiusure regionali, poi il lockdown nazionale, deciso in meno di 48 ore.
Le novità più rilevanti della Commissione riguardano però il processo decisionale che condusse a quella scelta. Diversi tecnici hanno parlato di riunioni “ristrette”, non verbalizzate, avvenute fuori dai contesti formali del CTS. In una di queste, ricostruita anche dall’ex componente CTS Luca Richeldi, avrebbero partecipato il presidente Conte, il ministro Boccia e altre figure di vertice. Una riunione che – sottolineano vari commissari – non compare negli atti ufficiali, non è verbalizzata e non risulta accompagnata da procedure istituzionali tracciate.
È su questo punto che ci ha detto di più l’onorevole Alice Buonguerrieri (FdI), componente della Commissione Covid. Secondo lei, quanto emerso finora solleva interrogativi politici prima ancora che sanitari:
«I membri della task force e del CTS ci hanno detto chiaramente che i loro tavoli erano composti da persone che cambiavano di volta in volta, senza potere decisionale. Indicazioni spesso ignorate dalla politica. La scienza – ci hanno spiegato loro stessi – fu utilizzata come foglia di fico per giustificare scelte che erano già politiche.»
Secondo la ricostruzione «Dai lavori della Commissione abbiamo scoperto che il lockdown nazionale fu deciso in una riunione segreta, alla quale parteciparono Conte, il ministro Boccia e i due commissari dell’epoca. Nessuna procedura formale, nessun verbale, nessun tavolo istituzionale: nulla. Una scelta di enorme impatto assunta senza le necessarie garanzie di trasparenza.»
Un altro fronte su cui la Commissione ha aperto nuovi scenari riguarda la campagna vaccinale del 2021. Dalle videoregistrazioni delle riunioni del CTS emerge che alcuni esperti – tra cui il professor Abrignani – avevano raccomandato di non somministrare i vaccini adenovirali, come AstraZeneca, sotto i 60 anni, poiché i rischi per alcune fasce di popolazione erano ritenuti maggiori dei benefici.
Nonostante ciò, la linea politica spinse inizialmente per una campagna senza distinzioni.
«Abbiamo ascoltato tecnici come Abrignani dire chiaramente che i vaccini adenovirali non andavano somministrati sotto i 60 anni», aggiunge la parlamentare, «nello stesso tempo sentiamo l’allora ministro Speranza affermare che bisognava spingere la campagna vaccinale perché ‘avevamo un patrimonio tra le mani che non doveva essere macchiato’. Il risultato, purtroppo, lo conosciamo: penso alla tragedia della giovane Camilla Canepa.»
Ma il nodo della “reputazione” del governo ritorna anche in un altro capitolo esaminato dalla Commissione: il cosiddetto “Report Zambon”, redatto per l’Organizzazione mondiale della sanità nei primi mesi del 2020. Il documento, pubblicato e poi ritirato in meno di 24 ore, conteneva una ricostruzione severa dell’impreparazione italiana, incluso il mancato aggiornamento del piano pandemico nazionale.
Buonguerrieri ricorda così l’audizione del ricercatore dell’OMS:
«Abbiamo audito Zambon, che ci ha spiegato che quel report doveva servire a salvare vite negli altri Paesi che non erano ancora entrati nella fase acuta della pandemia. Ma quel documento fu ritirato – e questo è ciò che emerge dalle audizioni – perché avrebbe danneggiato la reputazione del governo italiano dell’epoca. La reputazione fu considerata più importante della trasparenza e, di conseguenza, della vita dei cittadini.»











