Si ringrazia MSEdizioni che ha fornito la copia per questa recensione.
Introduzione
Ogni tanto esce un gioco di civilizzazione che promette mari e monti. Poi scopri che i mari sono in realtà una pozzanghera e i monti più che altro collinette simpatiche. Altay: L’alba della civiltà rientra proprio in questa categoria: un titolo che cerca di condensare l’esperienza “da civ” in una formula snella, con deck-building, controllo del territorio e un albero delle tecnologie in miniatura. L’idea è chiara: fare un gioco “strategico ma accessibile”, che non richieda un week-end di ferie né una laurea in archeologia per capirne le regole.
Funziona? Sì e no. Ma andiamo con ordine.
Come si gioca
In Altay ogni giocatore controlla una delle antiche fazioni (gli Elder Peoples), parte con un mazzo iniziale e si lancia nell’espansione: raccogliere risorse, costruire insediamenti, sviluppare tecnologie e – quando serve – prendersi a sportellate con i vicini.
Le risorse sono quelle classiche (cibo, legno, pietra, conoscenza), il mercato delle carte è sempre lo stesso (undici carte fisse) e le tecnologie vanno “caricate” lentamente con risorse prima di poter essere usate. La partita si conclude quando qualcuno piazza tutti i suoi insediamenti o… li perde tutti, a seconda di quanto la guerra vada male.
Durata: 45-75 minuti (con 4 giocatori anche 90+). Spazio richiesto sul tavolo: tanto. Modalità solitaria: non pervenuta.
Cosa funziona (e fa sorridere)
- Tema e atmosfera: non sarà Through the Ages, ma le illustrazioni e il feeling “antico-mitico” ti portano nel giusto mood. Un “civ light” che almeno prova a farti sentire parte di una tribù alle origini.
- Scorrevolezza: le regole si spiegano in fretta e il turno è snello. Non c’è downtime infinito, e anche chi non mastica super-cervelloni può entrare nel gioco senza panico.
- Interazione viva: tra conquista di territori e corsa a carte/tecnologie, non è il classico deck-builder dove ognuno fa i fatti suoi. Qui ci si pesta un po’ i piedi, ed è un bene.
- Buon compromesso di peso: non pretende di essere un “vero civ”, ma offre più carne al fuoco rispetto a un semplice gioco di carte.


Dove scricchiola (e fa alzare il sopracciglio)
- Asimmetria “leggera”: le fazioni sono simili, cambiano giusto un paio di carte. Nessuna identità forte, nessuna strategia davvero unica.
- Mercato statico e poca varietà: le stesse carte ogni partita. Dopo tre partite, sai già dove stai andando.
- Deck ingolfato: le carte “spazzatura” restano lì, perché gli strumenti per pulire il mazzo sono pochi e mal distribuiti. Alla lunga diventa frustrante.
- Scelte obbligate: alcune strategie diventano quasi forzate. Certi passaggi li fai, punto, o rimani indietro.
- Tempi ballerini e ingombro: con quattro giocatori può superare le due ore e occupare mezzo salotto. Non proprio la promessa di “leggerezza”.
- Manca un vero solitario: in tempi in cui quasi ogni gioco ha un bot, qui niente.
Conclusione
Altay: L’alba della civiltà non è un capolavoro, ma non è nemmeno da buttare. È un gioco onesto, un compromesso tra complessità e accessibilità che può funzionare come entry-level nel mondo dei giochi di civilizzazione. Ti farà sentire un po’ esploratore, un po’ costruttore, un po’ guerriero… ma senza mai spingere davvero l’acceleratore in nessuna direzione.
Se cerchi un “vero civ” resterai deluso; se cerchi un deck-builder elegante, ci sono titoli più raffinati; se vuoi un titolo ibrido, compatto e con un buon livello di interazione, allora potresti divertirti parecchio.
Voto finale: 7/10 – Un gioco che non farà la storia delle civiltà, ma qualche serata la salva di sicuro.










