
Manifestazioni oceaniche, mobilitazioni spontanee e tensioni in alcune piazze italiane: il 22 settembre è passato agli onori della cronaca come una giornata di protesta nazionale in solidarietà con Gaza. Ai microfoni di Un Giorno Speciale, Antonio Maria Rinaldi e Fabio Duranti hanno offerto una lettura forte e provocatoria dell’accaduto, denunciando regie controverse, strumentalizzazioni politiche e una popolazione “abbindolata”.
Il 22 settembre e il suo significato politico
Lo sciopero generale nazionale del 22 settembre, promosso da sindacati autonomi e movimenti di base, ha registrato manifestazioni in oltre 70 città italiane, blocchi ai trasporti, rallentamenti nei porti e tensioni anche in stazioni ferroviarie come quella di Milano. Mentre parte delle cronache si concentra sugli scontri, l’intervento di Rinaldi e Duranti si inserisce su un altro piano: interrogarsi su chi controlla la narrazione e quali interessi guadagnino dal caos mediatico.
Rinaldi: buona fede contro regie controverse
Per Rinaldi, la maggior parte dei manifestanti era “in buona fede, ottima buona fede”, ma ciò non esclude che “queste manifestazioni si prestino sempre a infiltrati che fanno casino”. Egli non accetta che si neghi l’esistenza di un disegno organizzativo: “quando io vedo scene a Milano, a Roma, a Napoli, a Bologna c’è una regia dietro in tutto questo, è ovvio, è evidente”. Secondo lui, è sbagliato liquidare tutto come spontaneismo: occorre guardare chi trae vantaggio dal disordine comunicativo, chi fomenta divisioni e alimenta sospetti contro chi manifesta genuinamente.
Duranti: strumento sbagliato, cittadini usati
Duranti affianca la critica con una questione pragmatica: “Non è che lo fanno così, sono organizzati”. Ma va oltre: se la mobilitazione è sincera, che quella stessa energia venga applicata ai problemi nazionali reali — “giovani, tassazione, potere d’acquisto, bollette care”. Per lui, la protesta per Gaza rischia di essere un pretesto politico: “voi pensate che cambi qualcosa se loro vanno o non vanno a fare questa manifestazione? No, non cambia assolutamente nulla”. E attacca lo strumento: “È sbagliato usare lo sciopero come strumento, è sbagliato il principio. Vi stanno facendo fessi”
Le domande che restano
Rinaldi e Duranti non si limitano a criticare: sollevano questioni che rimangono aperte. Chi decide i confini della protesta? Chi arma le tensioni che cancellano il messaggio originario? Come distinguere chi manifesta per solidarietà da chi agisce per propagare polarizzazione?
Il 22 settembre ha dimostrato che mobilitazioni su cause internazionali possono generare onde profonde, che vanno ben oltre il giorno stesso. Ma i due interlocutori ci mettono in guardia: non basta scendere in piazza. Serve consapevolezza, serve capire chi lancia l’amo. E non abbozzare.









