PROPAGANDA: LA MORTE DEL PENSIERO CRITICO – Bisogna tornare a usare il cervello. È un appello semplice, quasi ovvio, ma oggi più urgente che mai. Siamo circondati da dispositivi, piattaforme e voci artificiali che ci dicono cosa pensare, cosa fare, cosa temere. E noi, troppo spesso, ci affidiamo a loro come se fossero guide infallibili. Ma davvero vogliamo lasciare la nostra vita – le nostre scelte, il nostro giudizio – a una macchina? A un algoritmo progettato da altri? Non è forse il momento di riprendere in mano la nostra libertà di discernimento, anche a costo di fare fatica, di pensare, di dubitare?
Viviamo in un’epoca in cui il pensiero critico è visto quasi come un intralcio, invece è l’unico antidoto alla propaganda mainstream, che si insinua ovunque, anche dove meno ce l’aspettiamo. Per questo il pensiero non può essere delegato, né sostituito. E per questo è importante ascoltare chi, come il professor Carlo Iannello, docente di Diritto Costituzionale all’Università Luigi Vanvitelli, ha il coraggio di dire le cose come stanno.
Il pensiero è solo critico: non ci sono varianti
“Il pensiero o è critico oppure non è pensiero. Non esiste un pensiero fondamentalista”, spiega Iannello, centrando subito il punto. Il pensiero, se è autentico, implica discernimento, confronto, dubbio. Non è adesione cieca, non è automatismo. “La critica è capacità di discernimento. Non significa insultare o screditare, ma distinguere. È un esercizio di libertà”.
Questa libertà, però, è in aperto contrasto con ciò che la tecnoeconomia oggi richiede: conformità. L’obiettivo è semplificare, ridurre tutto a numeri e comportamenti prevedibili, governabili. “Quanto più pensiamo, tanto più il governo attraverso i numeri fallisce. Quanto meno pensiamo, tanto più diventiamo automi, e quel governo diventa efficace”. Non è un’ipotesi futura: è già in atto. Il riferimento del professore è al film di Pif “E noi come stronzi rimanemmo a guardare”, che racconta una distopia talmente vicina da sembrare cronaca. “Non è un film sui prossimi 50 anni, è un film sulle prossime ore”.
L’élite culturale è la prima vittima
Un passaggio fondamentale del ragionamento di Iannello riguarda un aspetto spesso ignorato: chi è davvero il bersaglio della propaganda contemporanea? Non le masse ignoranti, ma le classi colte. “La propaganda è fatta per le classi istruite. I messaggi si rivolgono a chi ha strumenti per comprenderli, e proprio per questo può essere manipolato più facilmente”.
È un’affermazione che ribalta la narrazione comune: i professori, gli artisti, i dirigenti, i professionisti (coloro che dovrebbero essere i custodi del pensiero critico) sono oggi i più esposti alla manipolazione ideologica. Questo, secondo Iannello, è il paradosso più inquietante del nostro tempo. “Le classi che dovrebbero difenderci dalla propaganda sono le vittime maggiori della propaganda”.
La pigrizia e l’illusione dell’informazione
C’è poi un nemico più subdolo: la pigrizia mentale. Preferiamo chiedere ad Alexa, piuttosto che leggere un libro. Ci affidiamo all’informazione pronta, confezionata, perché pensare costa fatica. Ma quell’informazione, spiega, non è cultura, è il riflesso del potere economico e politico che gestisce le piattaforme. “Non hai la cultura a portata di mano, hai l’informazione che ti dà il proprietario della piattaforma”.
L’invasione dell’intelligenza artificiale non è neutra, anzi: “Mina la nostra capacità di pensare”. E i dati lo dimostrano. “Il quoziente intellettivo medio della popolazione è sempre cresciuto, fino al 2009. Poi ha iniziato a scendere. Cosa è successo nel 2009? Sono arrivati gli smartphone”.
Non si tratta di demonizzare la tecnologia, ma di capirne gli effetti e tornare a usarla con consapevolezza. “Non dobbiamo abolirla dalle nostre vite, ma utilizzarla in modo parsimonioso per aumentare, non ridurre, lo spirito critico”.
In un’epoca in cui tutto è calcolo e apparenza, pensare è un atto rivoluzionario. E forse anche l’unico che ci può salvare.










