La breve ma significativa vicenda che ha riguardato il Nitag ha riportato al centro dell’attenzione pubblica il tema della trasparenza nelle istituzioni sanitarie. Dopo la nomina del professor Bellavite, rapidamente revocata per le contestazioni sulle sue posizioni critiche in materia vaccinale, e le motivazioni simili per escludere Eugenio Serravalle, il nodo centrale resta però opaco: fino a che punto le raccomandazioni di un organo tecnico destinato a influenzare le politiche del Paese possono dirsi davvero libere da condizionamenti?
Il Nitag, che per missione dovrebbe essere un organismo puramente scientifico e indipendente, si trova al centro di una vicenda che dimostra quanto la fiducia dei cittadini nelle istituzioni sanitarie dipenda non solo dalla solidità dei dati, ma anche dalla percezione di obiettività e imparzialità. Quando il dibattito viene soffocato o etichettato in modo semplicistico, ne risulta compromessa la credibilità dell’intero sistema.
Ultimo è l’esempio sul fuorionda datato 2021 di Palù, allora a capo dell’Aifa, che durante un convegno ha involontariamente rivelato di aver ricevuto pressioni ministeriali per abbassare l’età di AstraZeneca.
Quel che emerge con chiarezza è che la partita non è tra favorevoli o contrari ai vaccini, ma tra la necessità di decisioni libere da pressioni esterne e il rischio, invece, di un approccio non sufficientemente trasparente. Le categorie dei cosiddetti “pro” e “contro” non servono a comprendere la complessità della questione, mentre servirebbe eccome garantire spazi di confronto aperti e competenti.
Per questo, una lezione appare inevitabile: nella futura composizione del Comitato, la prima condizione da rispettare non dovrebbe essere la collocazione ideologica o mediatica di un esperto, bensì la sua capacità di dichiarare fin da subito l’assenza di conflitti di interesse: “Questo si farebbe in un paese civile”, propone la giornalista Raffaella Regoli a Un Giorno Speciale.
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