HIKIKOMORI, MA NON SOLO – Col passare degli anni, quella che Max Weber definiva “Gabbia d’Acciaio“, quel senso di alienazione e disagio sociale, sta diventando una realtà sempre più concreta e trasversale. Ma stando alle ultime stime, sulla spinta anche dell’effetto distorsivo delle pseudo relazioni ‘social’ (e non più propriamente sociali), Il disagio psicologico tra i giovani ha raggiunto proporzioni allarmanti. Nel mondo, circa 1 adolescente su 7 (tra i 10 e i 19 anni) soffre di un disturbo mentale diagnosticato. In Europa, i minorenni con problemi di salute mentale superano gli 11 milioni; in Italia, i numeri sono ancora più inquietanti: quasi 2 milioni, circa un quarto del totale europeo.
L’allarme lanciato lo scorso novembre dal professor Stefano Vicari, primario di neuropsichiatria infantile all’ospedale “Bambino Gesù” di Roma, parla chiaro: “Negli ultimi 10 anni le consulenze neuropsichiatriche presso il pronto soccorso dell’Ospedale sono aumentate del 500%”. Un dato che fotografa una vera e propria emergenza sociale e clinica, in gran parte sommersa e troppo spesso ignorata.
Hikikomori: la reclusione volontaria di una generazione
All’interno di questo contesto già critico, spicca con forza crescente (seppur con dimensioni percentuali ancora ridotte) il fenomeno degli hikikomori: giovani – prevalentemente maschi (rapporto di 4:1 rispetto alle femmine) – che scelgono di ritirarsi dalla società, barricandosi nelle proprie stanze, spesso per anni, senza contatti diretti con l’esterno.
Originario del Giappone, il termine hikikomori (da hiku, “tirare indietro”, e komoru, “ritirarsi”) è oggi usato anche in Italia per descrivere una forma estrema di ritiro sociale che non dipende necessariamente da una patologia psichiatrica conclamata, ma che porta comunque a gravi conseguenze psicologiche, relazionali e familiari. Si tratta ovviamente di un caso limitato numericamente, ma che forse più di tutti rappresenta perfettamente il simbolo estremizzato di una piaga sociale sempre più delicata e pericolosa.
Fusaro: “Viviamo nell’epoca degli eremiti di massa”
A prendere parola in modo dirompente su questo dramma è stato Diego Fusaro, intervenuto ai microfoni di “Un Giorno speciale” con un’analisi filosofica tanto lucida quanto sconfortante:
“Le nuove generazioni sono sempre più tecno-narcotizzate, persuase che la vera libertà sia quella veicolata dalle macchine, dai dispositivi, dagli apparati tecnici”, denuncia Fusaro.
Secondo il filosofo, viviamo in una società sempre più opzionale, dove l’individuo viene ridotto a un “atomo isolato” che si illude di bastare a sé stesso:
“L’altro compare solo come strumento per massimizzare l’interesse personale. Viene meno un tratto essenziale della nostra natura: la relazione. L’uomo è per sua essenza un essere comunitario, non un consumatore individualista”.
Tecnica e capitale: la dittatura invisibile
Nel suo intervento, Fusaro punta il dito contro la fusione tra tecnica e mercato, ciò che definisce come “tecno-capitale”, che avrebbe stravolto il concetto stesso di umanità:
“La comunità solidale è stata spodestata dalla contiguità spaziale tra individui che si relazionano solo per accidenza. Siamo passati dall’uomo come ‘animale politico’, per dirla con Aristotele, all’uomo come consumatore libero-scambista di merci, alla Adam Smith”.
Questa trasformazione, non è naturale né inevitabile. E soprattutto non riguarda unicamente i giovani. Ma è il frutto di un modello economico e culturale che sta spingendo intere generazioni verso una condizione di solitudine digitale.
“Oggi assistiamo a un’epoca di eremiti di massa, solitudini connesse che assomigliano sempre più alla figura dell’hikikomori”, afferma con forza.
Tecnologia: da strumento a padrone
Uno dei passaggi più intensi e citabili dell’intervento è quello in cui Fusaro rievoca la celebre dialettica servo-signore di Hegel:
“La tecnica, che era il servo creato per semplificare la vita, si è trasformata nel Signore che ci domina. Anche i teorici dell’intelligenza artificiale perdono di vista l’aspetto filosofico: la totale dipendenza che abbiamo sviluppato dalla tecnica”.
In questo scenario, la figura dell’hikikomori diventa la metafora estrema della nostra epoca:
“Il giovane che si isola, che si barrica nella propria stanzetta, che ha interrotto ogni rapporto diretto con l’altro se non in forma digitale: questa è l’immagine tragicamente perfetta del nostro tempo”.
Hikikomori ma non solo: in generale, una società che si isola e non ascolta
Il ritiro sociale, l’hikikomori, il disagio mentale crescente tra i giovani: tutto questo non è un caso, ma il sintomo estremo di una crisi sistemica, esistenziale e culturale. Come ricordano anche i più recenti studi clinici , è in corso un cambiamento profondo nel nostro modo di vivere, relazionarci e concepire l’identità.
Serve, ora più che mai, una riflessione radicale su educazione, relazioni, tecnologia e comunità, altrimenti il rischio è quello di trasformare la società intera in un grande deserto relazionale, popolato da individui iperconnessi, ma profondamente soli.
ASCOLTA L’INTERVENTO INTEGRALE SU “UN GIORNO SPECIALE” – CON FABIO DURANTI