Immaginate un popolo che idolatra il grasso e l’ozio. Lo idolatra a tal punto da porlo come estremo di bellezza, definendolo come apogeo della sensualità, desiderabilità ma anche, d’altro canto, come un inderogabile dovere. Una rara forma di Yin e Yang che ha origini antichissime.

È in Mauritania che il lieto fine coincide con la condizione fisica di obesità. La chiave di volta per vivere ‘felici’ in questo paese dell’Africa nord-occidentale è infatti correlata al mero grasso corporeo.
Si chiama gavage (Leblouh in lingua originale) il rito adibito al raggiungimento di questo status quo e in Mauritania coloro che decidono di non praticarlo o che sono impossibilitate a farlo divengono automaticamente emarginate dalla società.
La componente base del gavage presuppone che una ragazza, per potersi sposare, deve necessariamente essere grassa fino, appunto, a lambire l’obesità. Per raggiungere tale peso ideale le ragazze (ma anche e soprattutto le bambine) sono costrette a ingerire una grande quantità di cibo. La massima aspirazione? Trovare marito.
Per la maggioranza delle ragazze contrarie e/o impossibilitate a ricevere il rito esistono veri e propri ostelli dove, dalle anziane del villaggio e con il benestare delle famiglie, vengono letteralmente forzate a mangiare e a bere prodotti ipercalorici. Il menù principale prevede la somministrazione quotidiana (se necessario continua) di 2 kg di miglio miscelati a 20 litri di latte di cammella e burro come anche cous cous ipercondito o latte di capra o mucca. Le famiglie più povere a volte ricorrono a prodotti ormonali veterinari.
Si conta circa che il 20% delle bambine mauritane vengono alimentate forzatamente.

L’ideologia collettiva vuole anche che le smagliature condannate esteticamente in Occidente, in Mauritania sono un surplus di bellezza e prosperità. Questo, se vogliamo, è il minimo dato che banalmente le smagliature sono naturalmente presenti in ogni corpo.
Ma quale forma di sex appeal, se ci si sofferma sul gavage, porta a problemi fisici cardiovascolari, renali e psicologici? Come vale per l’eccessiva magrezza, anche al polo opposto accade che chi ne abusa vede l’insorgere di problemi salutari.

Origini


“Una donna occupa nel cuore del marito il posto che occupa nel letto”, così recita un famoso proverbio mauritano.
Il gavage ha origine in ambito arabo-berbero e si ricollega al concetto di schiavismo: i ricchi berberi avevano l’obiettivo di avere più schiavi possibili, in modo tale da permettere alle mogli di oziare e di seguito diventare appunto obese.
Nonostante la schiavitù venne abolita per ben due volte in Mauritania, definita come crimine contro l’umanità, non cessa di esistere se pensiamo alla pratica gavage, presente soprattutto in zone rurali (ad esempio ad Atar, centro vicino al Sahara) dove vi sono discendenti berberi e schiavi africani autoctoni neri che, ancor prima di nascere, hanno il destino segnato.
In questo senso la schiavitù e la pratica che ne consegue viene legittimata anche da vari testi religiosi della cultura di riferimento come quella musulmano sunnita malechita. Basti pensare che il codice d’onore degli arabi percepisce il lavoro come fonte di umiliazione, sia quello relativo ai campi che alla cucina, e tutto torna.

Iniziative a contrasto


Biram Dah Abeid, deputato nel Parlamento di Nouakchott e definito come il “Mandela mauritano” per le sue battaglie antischiavitù, ha avuto sempre un ruolo preminente alla lotta contro la pratica del gavage e contro la schiavitù nel senso più generico che ancora oggi regna in Mauritania.
Il movimento abolizionista IRA (Initiative for the Resurgence of the Abolitionist Movement) di Abeid ha preso vita nel 2008 ed è stato riconosciuto come il più grande successo in Mauritania in difesa dei diritti umani dal 1978.
Uno degli episodi più eclatanti è avvenuto nel 2012, quando Abeid bruciò pubblicamente dei libri pseudo-islamici che normalizzavano la schiavitù, questo gli costò la galera e svariate violenze.
Nel 2013 ha ricevuto il Premio per i diritti umani delle Nazioni Unite.

A “Mai più schiavi”, evento creato da Amnesty International nel 2018 in correlazione agli scritti di Abeid, si è discusso sulla condizione dei neri in Mauritania: “In Mauritania c’è un sistema di apartheid organizzato da parte dell’estrema destra. Schiavisti, razzisti, xenofobi, oscurantisti, anti-neri sono personificati dall’attuale regime di Mohamed Abdel El Aziz, il generale che sta facendo di tutto per mantenere in vita, attraverso la repressione, l’èlite arabo-berbera che si giova della schiavitù e del razzismo. Quando avevo 10 anni, poco prima della morte di mio padre, gli ho promesso che avrei trascorso la vita battendomi contro la schiavitù nel mio paese. Ed è quello che ho fatto. Mi ha chiesto di studiare e di battermi contro la schiavitù perché lui non aveva potuto farlo, essendo analfabeta. Mi ha chiesto di ricordarmi della storia della mia famiglia, dei figli della sua prima moglie, degli schiavi che vedevamo ogni giorno in Mauritania, e di come venivano trattati. Per questo motivo sono andato avanti, subendo incarcerazioni, violenze e torture, sia fisiche che psicologiche“”, così intervenne il Mandela mauritano all’evento evidenziando come mai prima la tragica situazione del paese.

Oltre a quella creata da Biram Dah Abeid, vi sono altre organizzazioni che continuano a lottare e contrastare le varie forme di schiavitù, quali ad esempio Kane Afrique e Memouké Diaguily: Le organizzazioni del Coordinamento contro la schiavitù e le sue conseguenze (C.C.E.S).
Sotto il profilo mediatico, anche il mondo del cinema, in primis per iniziativa di Michela Occhipinti (regista), ha fatto una denuncia sulla pratica del gavage attraverso il film Il corpo della sposa, da cui la copertina dell’articolo ne è un fotogramma. Abbiamo anche Giuseppe Bertuccio d’Angelo che, tramite il Progetto Happiness, ha portato alla luce una delle realtà presenti in Mauritania, intervistando donne e uomini direttamente sul posto.
Ad oggi la situazione rimane invariata, soprattutto nelle zone rurali nel Sahara Occidentale, al confine tra Marocco e Mali. Il sistema politico rimane quello feudale nelle mani di potenze arabo-berbere.