La tragica storia di un rider, costretto a saltare i pasti per uno “stipendio” umiliante

Vi è una notizia che viene diffusa da Repubblica nella sua sezione fiorentina e che ha per protagonista un giovane rider, come va di moda definirli oggi secondo il lessico della neolingua orwelliana. Un fattorino lo chiameremo noi.
Un giovane di 25 anni che vive nella precarietà assoluta con un salario di 350€ al mese, costretto a vivere in tenda dacché non può permettersi altro e talvolta condannato anche a saltare i pasti.
E’ quanto emerge dall’intervista che gli è stata dedicata su Repubblica e che ci trasmette un’immagine molto plausibile e molto coerente di ciò che è realmente, al di là del velo ideologico con cui spesso viene presentata la civiltà del neoliberismo cosmopolita, la civiltà della vittoria del capitale sul lavoro, potremmo anche dire, dacché di questo si tratta.

Dal 1989 non ha vinto la libertà. Non ha trionfato la democrazia, con buona pace delle retoriche egemoniche che mirano soltanto a glorificare l’antro platonico nel quale siamo rinchiusi. Nel 1989 ha vinto la concorrenza.
Ha vinto la libertà di mercato, vale a dire ha vinto il neo cannibalismo del mercato, che è poi la facoltà del più forte di massacrare senza interdizione il più debole. Serge Latouche, il teorico della decrescita, parla a questo riguardo con una felice espressione di “libera volpe in libero pollaio“. Questa è la migliore definizione possibile, forse, di quel che realmente è la concorrenza, la competitività, l’ordine neoliberale che assume l’ordine economico come unica sorgente di razionalità e che rimanda ogni cosa alla presunta giustizia dei mercati.

Quella giustizia che fa sì che le condizioni del lavoro vadano deteriorandosi ogni giorno di più nel quadro di quello che viene definito il “progresso”, e che tale è solo per le classi dominanti. Dacché per i dominati si tratta di un vero e proprio regresso sotto ogni profilo.
Le condizioni del lavoro ne sono la fotografia più plastica e più drammatica.
Perché la vicenda del giovane fattorino di Firenze è una delle tante.
E’ l’immagine che restituisce la condizione del lavoro di moltissimi giovani nel tempo della globalizzazione neoliberale.
Una vicenda tragica, naturalmente, che si affianca a molte altre, di cui pure abbiamo dato conto nei nostri interventi.

Ricorderete senz’altro di quei lavoratori costretti a urinare alla catena di montaggio in bottiglie per non interrompere il ritmo elettrizzante della produzione. O la vicenda di quel lavoratore morto in una fabbrica multinazionale e coperto con dei cartoni, acciocché gli altri lavoratori non smettessero di produrre e non interrompesse il ciclo febbrile della produzione capitalistica.
Insomma, la condizione del lavoro pare ogni giorno peggiorare nel quadro del capitalismo.
E ciò anche in virtù di quelle “riforme” che tali sono solo per la parte dominante, che vanno di giorno in giorno, peggiorando le condizioni lavorative. Poco importa davvero che ci sia la destra al governo o che ci sia la sinistra.

La destra ha sempre tutelato il capitale, non il lavoro.
Certo, la novità è che ora la sinistra sta facendo il medesimo, tradendo integralmente la propria classe, quella dei lavoratori.
Sotto questo riguardo, che ci sia la destra o che ci sia la sinistra, vince sempre, nell’odierno rapporto di forza, l’ordine del capitale.
Quello che mediante riforme de-emancipative va a decostruire il mondo del lavoro e va a rendere un inferno la vita dei più giovani. Sotto questo riguardo si potrebbe ancora dire che dobbiamo guardare con attenzione e compartecipazione alle vicende di coloro i quali abitano nel sottosuolo di Metropolis, per riprendere la bella immagine del capolavoro filmico di Fritz Lang.

Gli abitatori sotterranei, gli sfruttati, i dimenticati.
Quelli di cui non si è mai occupata la destra e quelli di cui non si occupa più la sinistra.
Essi non hanno voce, non hanno rappresentanza.
Vivono sulla propria carne viva le contraddizioni del globale capitalismo.
E’ da loro che bisogna ripartire per non trasformare ciò che c’è nel nostro ideale, secondo una bellissima formula che dobbiamo a Dostoevskij.


RadioAttività – Lampi del pensiero quotidiano, con Diego Fusaro