“C’è lo stadio pieno, c’è il consueto aplomb di Mancini, impeccabile in grigio chiaro; c’è anche una formazione azzurra che alla fine è stata allestita con decoro. Predomina però la malinconia di fondo”


Che inutile serata, cantava Califano.

C’è lo stadio pieno, quello di Tirana che ha già incorniciato un trionfo italiano; c’è il consueto aplomb di Mancini, impeccabile in grigio chiaro; c’è anche una formazione azzurra che alla fine è stata allestita con decoro, nonostante le assenze che già si conoscevano alla vigilia e quelle che si sono aggiunte negli ultimi giorni.

Tra una traversa e l’altra abbiamo pur visto cosine apprezzabili, a cominciare dal campionario realizzativo di Vincenzo Grifo, nato a un tiro di schioppo e di destro da Stoccarda, idolo dei tifosi del Friburgo e reuccio dei marcatori italiani in Bundesliga, dopo essersi lasciato alle spalle, in quella particolare graduatoria, gente come Toni o Rizzitelli, presentato dai cronisti RAI come se fosse una novità assoluta.

Su ogni altro aspetto di questa amichevole serata albanese, animata da un sufficiente livello agonistico in rapporto all’occasione e all’anomalia assoluta del periodo che il calcio sta per attraversare, predomina però la malinconia di fondo: per il fatto che ormai da troppi anni parlare di Coppa del Mondo per noi italiani è come citare il film “Le vite degli altri”; per l’interruzione di campionati nazionali appassionanti, a cominciare dal nostro, a beneficio di un Mondiale ingiusto e diverso; infine per questo surrogato di impegno internazionale contro tante vecchie o attuali conoscenze della nostra Serie A e con Edy Reja come dirimpettaio.

Paolo Marcacci