Reparto che vai, usanza che trovi. La storia di Laura è quella di chi, all’interno di un stessa struttura ospedaliera, si trova di fronte regole diverse a seconda dell’insegna scritta sulla porta d’accesso. Una situazione che chi è abituato a frequentare la Sanità pubblica conosce già molto bene, ma che ha finito per esacerbarsi e assumere tinte fosche con lo scoppio della pandemia e, soprattutto, della campagna vaccinale. Laura, come altre persone che hanno subito trattamenti a loro avviso poco etici, vuole diffondere adesso la sua storia affinché altri non vivano ciò che è toccato in sorte a lei. E lo fa al fianco dell’ex infermiere Raffaele Varvara, Presidente del comitato ‘Di Sana e Robusta Costituzione’, in prima linea – con l’operazione ‘Riapriamo le porte’“per far tornare di moda il buon senso e l’umanizzazione delle cure”.

La storia di Laura

“La storia inizia a fine agosto, quando mio papà viene ricoverato per un’emorragia intestinale presso una struttura in provincia di Milano. Viene accompagnato in ambulanza da mia sorella. Gli viene fatto un tampone ancor prima di guardarlo (e perdeva sangue nel mentre), quindi deve aspettare una mezz’oretta e poi viene fatto entrare in Pronto soccorso. Io lo raggiungo un paio d’ore dopo e lui nel frattempo era stato messo in una stanzetta perché non avevano letti a disposizione. Chiedo di poter entrare e mi fanno entrare tranquillamente. Per un paio di giorni, visto che non c’erano posti letto, viene fatto stare in questa stanzetta adiacente al Pronto soccorso, dove c’era un andirivieni di persone, senza alcun tipo di controllo. Dopo un paio di giorni viene trasferito nel reparto di Medicina. Io provo ad andare a trovarlo una sera e, non essendo vaccinata, eseguo un tampone un quarto d’ora prima, così mi presento al reparto nell’orario di visita con il mio tampone e il mio green pass stampato. Lì vengo bloccata dall’infermiera che piantonava la porta del reparto, esibisco il mio green pass e mi dice che non posso accedere perché non sono vaccinata. Nel frattempo, entravano persone senza alcun tipo di controllo solo perché vaccinate. Quindi, non ho visto mio papà per venti giorni e non potevo sentirlo perché è anziano e sordo, e purtroppo in quel reparto non prende il cellulare. Fortunatamente ho una sorella che è vaccinata, quindi era monitorato, i medici la chiamavano ogni giorno per metterla al corrente della situazione, quindi riuscivo ad avere sue notizie. La cosa assurda è che però quando è stato dimesso, mi sono presentata io per prenderlo, convinta di dover aspettare fuori dal reparto affinché loro me lo portassero. Ho suonato perché il reparto era chiuso, non essendo orario di visita, e mi hanno fatto entrare tranquillamente senza chiedermi né il tampone, né il green pass, né il vaccino. Mi hanno dato anche la possibilità di vestirlo, per cui sono entrata in reparto e l’ho vestito, impiegandoci un bel po’ (c’era anche un signore insieme a lui, essendo camere doppie). Questo è il paradosso: per venti giorni non sono potuta accedere per vederlo, ma per le dimissioni – chissà perché – sono potuta entrare tranquillamente. Avevo anche chiamato i Carabinieri. Il carabiniere con cui avevo parlato probabilmente non era a conoscenza delle regole e cercava di liquidarmi ripetendomi che queste fossero le regole. Io volevo solo denunciare un abuso per me e per altra gente come me per cui è stato impossibile vedere i propri genitori o i congiunti. Quindi alla fine neanche le Forze dell’Ordine hanno fatto qualcosa, se non cercare di convincermi che fossi io nel torto. L’infermiera che mi ha negato l’accesso mi ha proprio detto che ogni reparto, all’interno della stessa struttura, ha delle proprie regole: questo lo trovo assurdo perché allora significa che ognuno di noi può fare quello che vuole“.

“I miei colleghi sono diventati delle macchine triviali”

Raffaele Varvara si scaglia contro coloro che, da anni, esercitano quella stessa professione da cui lui ha deciso di allontanarsi proprio a causa della scarsa umanità che ormai – a suo dire – la contraddistingue: “Della storia di Laura mi lascia basito il comportamento e la condotta professionale dei miei colleghi che, sulla soglia della porta, hanno avuto il coraggio di rispedire a casa una figlia che è andata a trovare il proprio papà, per altro con un tampone negativo. Questo dimostra come i miei colleghi siano diventati da professionisti delle macchine triviali che applicano protocolli e basta, volevano solo il green pass da vaccinazione, non accettavano quello da tampone negativo. Questa situazione merita il nostro pronto intervento, quindi ripartiremo a breve con l’operazione ‘Riapriamo le porte’ proprio per far tornare di moda il buon senso e l’umanizzazione delle cure”.