La nostra casa è in pericolo, dacché è l’ultimo baluardo di resistenza. È un paradosso: la casa, che solitamente è il luogo che custodisce il privato e l’intimità sottratta al pubblico, sta ormai diventando l’ultimo baluardo di resistenza delle relazioni sociali altrimenti interdette nello spazio pubblico sorvegliato dal Leviatano tecnosanitario.

Esso, come sappiamo, produce l’abolizione del prossimo e dello spazio pubblico per decreto, giacché nel prossimo e nello spazio pubblico vede soltanto vettori del contagio. Generare l’immunità significa infatti decostruire la comunità: immunitas e communitas procedono secondo logiche di mutua esclusione. Come più volte abbiamo sottolineato, la logica illogica del capitalismo si compie, sul piano antropologico e sociale, nella nuova insocievole socievolezza della società rarefatta per atomi distanziati socialmente e connessi telematicamente.

La società davvero non esiste più, sostituita com’è da monadi confinate per decreto nella loro dimora o comunque condannate a mantenere la distanza dall’altro percepito come virus: homo homini virus). Per questo, come dicevo, solo lo spazio intimo e privato della casa, l’inviolabile domicilio dei cittadini, sopravvive oggi come fiorente luogo di possibili relazioni, incontri, comunità. Detto altrimenti, proprio in quanto incontrollata per ora dal potere, la casa resta la possibile cellula della riorganizzazione delle relazioni umane e della umana resistenza contro un potere ogni giorno più disumano.

Come scrive Giorgio Agamben, la doverosa reazione alla disumanizzazione dei rapporti umani prodotta dal capitalismo terapeutico deve passare per il tramite della creazione di una parallela comunità dentro la società, vale a dire di una società di persone libere e solidali nelle quali la paura di perdere la vita non prevalga sul desiderio di una vita libera e dignitosa.

Da ciò discende una conseguenza degna di rilievo: la casa diventa lo spazio della riorganizzazione del sociale, vuoi anche della sua sopravvivenza e della sua rinascenza secondo nuove e impensate comunità di cittadine e cittadini liberi che continuino a vivere secondo ragione e libertà pur nel quadro disumano del nuovo ordine terapeutico. Si produce, così, un “impero dentro l’impero”, per riprendere una felice espressione di Spinoza.

Alla luce di ciò, si può ragionevolmente sostenere non solo che la auspicabile reazione al golpe globale maturerà a partire dalle case come fortilizi resistenziali, ma anche che il potere del nuovo ordine terapeutico dovrà, presto o tardi, intervenire per disciplinare con i suoi ordinamenti anche quell’ultimo spazio rimasto libero. In sintesi, se la reazione parte dalla casa, è contro la casa che si abbatterà la repressione del potere.

A ben vedere, le premesse sono già state poste: quando ci dicono, come se fosse la cosa più ovvia del mondo, quante persone possiamo portare in casa, di quale tipo e secondo quale modalità, intimandoci addirittura di non dare ospitalità ai sovversivi che hanno respinto il sacramento della sacra benedizione col siero, la violazione del nostro domicilio, sia pure solo a livello ideale, è già avvenuta.

Sempre in nome di superiori ragioni medico scientifiche, ovviamente, com’è proprio di un regime che ci chiede quotidianamente di barattare libertà e diritti in nome della sicurezza della salute pubblica. Il passo ulteriore, che potrebbe avvenire in qualsiasi momento, consisterà nel passaggio dall’ideale al materiale, vale a dire nel diretto controllo da parte delle autorità di ciò che avviene all’interno delle nostre dimore, di modo che anche lì regni senza alcun hic sunt leones l’ordinamento del Leviatano tecnosanitario.

RadioAttività, lampi del pensiero con Diego Fusaro