Eccoci arrivati al periodo delle festività. Volevo fare da questo punto di vista un discorso molto semplice relativamente al linguaggio. Il linguaggio significa anche la titolarità di un Paese, di una storia, non mi fermo alle cose quasi goliardiche dell’usare ‘Buone feste’ anziché ‘Buon Natale’. Cose che sono uscite dalla dinamica dell’Unione Europea.

Parlo di cose un po’ più concrete che danno l’idea anche di un cambiamento lento ma profondo, incisivo di un Paese che viene in parte colonizzato. Avete visto che adesso non si può più usare la differenza di genere come ‘Buongiorno signori e signore’. Alcuni chiedono di usare addirittura l’asterisco. Ma dietro questo c’è un discorso molto più globalizzato, mondializzato ma anche capitalista. Se avrete notato da tempo la parola licenziamenti non esiste più, i licenziamenti sono fatti dalle delocalizzazioni in primo luogo. Ma non si chiamano neanche più licenziamenti ma ‘flessibilità in uscita’. I ‘grandi padroni’ sono i Ceo, gli amministratori delegati delle grandi multinazionali.

Anche la geopolitica cambia, la guerra non è più guerra e si chiama oggi ‘peace keeping’. Ecco, poco alla volta ci hanno tolto le tradizioni, la storia ma anche il significato vero delle parole. E un paese senza le parole, che non ne conosce più il significato, diventa un paese debole, di provincia, assolutamente privo di un’anima e a pagare sono sempre i più deboli: chi lavora, chi vive del proprio lavoro.

Proviamo a riappropriarci delle parole: che la guerra sia guerra, la pace sia pace e che i licenziamenti siano i licenziamenti. Forse vogliono usare qualche metafora per infarcirci meglio la loro pillola. Mandiamoli a quel paese, adesso che è fine anno.

3 Minuti con Marco Rizzo