Sono già due i Paesi europei che vietano l’ingresso delle persone provenienti da Israele: si tratta di Portogallo e Svezia, che nei giorni scorsi hanno deciso di adottare questa misura dopo l’aumento di casi di Covid-19 nel Paese mediorientale.
Dopo la scelta del Portogallo, arrivata il 1 settembre, non si è fatta attendere neppure quella della Svezia: quattro giorni più tardi, anche il Paese nordeuropeo ha optato per la stessa precauzione.

Una decisione “dovuta” e consigliata dalla stessa Unione Europea per evitare la diffusione dei contagi da Coronavirus. Sono sempre più, infatti, i contagi in Israele, nonostante la popolazione sia quasi completamente vaccinata di cui una buona parte con terza dose.
Nel frattempo, Israele ha comunque annunciato nel fine settimana che le persone che non hanno ricevuto una terza vaccinazione di richiamo non saranno in grado di utilizzare i loro passaporti vaccinali.
Benché sia ormai risaputo che il vaccino non conferisce immunità (e quindi non impedisce il contagio) il ministro dell’Interno svedese Mikael Damberg ha giustificato la scelta di chiudere ai residenti israeliani affermando che il Paese – tra i principali al mondo per inoculazioni – è ancora sede di grandi gruppi di persone non vaccinate che secondo lui avrebbero “permesso la diffusione dell’epidemia” secondo un principio scientifico non meglio chiarito.

Questione di chiarezza e trasparenza, quella che non si intravede né nella vicenda israeliana come viene riportata da diversi media nostrani, né nelle parole delle istituzioni, come quelle di un esponente del Cts quale Sergio Abrignani, che il 13 luglio scorso affermava che ad agosto in Italia avremmo avuto “30mila casi al giorno come in Inghilterra”.
Qual è la natura di tale cortocircuito informativo in salsa pandemica? Proviamo a rispondere a “Un Giorno Speciale” insieme a Fabio Duranti.