1154 giorni. È bastato tanto a Roberto Mancini per prendere in mano una squadra spaesata, reduce dalla più grande delusione degli ultimi quindici anni, e trasformarla in un gruppo. Quel 14 maggio 2018, giorno in cui l’ex attaccante fu scelto come nuovo Ct, la disfatta di San Siro contro la Svezia di qualche mese prima era ancora un’amara realtà, lontanissima dal diventare un ricordo sbiadito. Ci sono volute tante gare tra amichevoli, Nations League e un Europeo – seppur posticipato di un anno – per allontanare i fantasmi del passato e cominciare a riconoscersi nuovamente nel gruppo azzurro. Un percorso difficile e ricco di novità quello guidato da Mancini, fatto soprattutto di prime volte. Tanti, infatti, i giovani che in questi tre anni hanno trovato spazio e tanti anche quelli che il commissario tecnico ha inserito nella lista dei 26.

L’età media dell’Italia è di 27,7 anni – alzata inevitabilmente dai senatori come Chiellini, Bonucci, Sirigu, Florenzi – ma a stupire non è tanto il dato anagrafico quanto il palmares dei singoli. Nel gruppo della Nazionale azzurra, infatti, sono due giocatori possono vantare titoli europei con i rispettivi club: Jorginho ed Emerson Palmieri, freschi di Champions con il Chelsea. Un aspetto fondamentale che dimostra quanto i giocatori azzurri non abbiano quell’esperienza che invece altre Nazionali possono vantare nei rispettivi singoli, e che dà ancora più valore a quanto costruito in questi anni.

Giovani, ma anche debutti. Basta guardare i numeri: sono trentacinque, in tre anni, i giocatori che il Ct ha fatto esordire. Una cifra incredibile di ragazzi che, con fortune alterne, hanno trovato spazio in Nazionale maggiore. Tra questi sono 12, più di un terzo, quelli che hanno seguito il tecnico in giro tra Roma, Monaco e Londra per Euro 2020. Berardi, Emerson Palmieri e Barella hanno fatto il loro debutto nel 2018. Un anno dopo è toccato a Mancini, Di Lorenzo, Castrovilli e Meret. Ci è voluto il 2020 per vedere invece tre dei protagonisti di questa competizione: Locatelli, Bastoni e Pessina. Due esordi anche nell’anno in corso: a marzo è stato il turno di Toloi, fresco di cittadinanza italiana, mentre nell’ultima gara pre Europeo, contro la Repubblica Ceca, è toccato a Raspadori.

Tanti esordi, ma anche tante scommesse per il commissario tecnico, che non ha mai risparmiato scelte coraggiose, come quella di lasciare a casa Kean e portare Bernardeschi, reduce da una stagione difficile, ma non solo. A ripagare anche altre decisioni, come quella di tenere Pessina in ritiro nonostante fosse la 27esima scelta: dopo il ko di Sensi, il centrocampista dell’Atalanta ha preso il posto dell’interista, non facendo affatto rimpiangere la sua assenza. Particolarmente azzeccata anche la scelta di schierare Di Lorenzo dopo il forfait di Florenzi: un Europeo, quello dell’esterno del Napoli, che ha superato le più rosee aspettative.

Mancini cambia il volto della Nazionale

Un processo di svecchiamento, scelte difficili e coraggiose, scommesse vinte: sono bastate alcune mosse – semplici ma allo stesso tempo ragionate – per cambiare volto all’Italia e permettere ad un intero popolo di tornare a riconoscersi nella maglia azzurra e sognare ancora una volta.
Tre anni dopo l’approdo sulla panchina azzurra, Roberto Mancini vede il suo obiettivo realizzarsi. Questa volta il sogno ha una forma ben definita: è quella di un trofeo d’argento, alto 60 cm e pesante 8 kg. È quella dell’Europeo, con su inciso il nome dell’Italia.