Peccato per Arcuri Domenico. La Lazio ha vinto il derby e dunque il commissario straordinario vivrà i prossimi giorni con l’umore grigio come la sua faccia. Ha sbagliato in pieno il pronostico, come altre previsioni del suo repertorio, ha sbagliato la Roma ma è stata la Lazio a dominare, nel risultato e nel gioco, consegnando la bambola alla squadra di Fonseca i cui uomini dovranno ricordare a lungo, insieme con l’Arcuri di cui sopra, questo venerdì di Covid e di derby.

Lucida e ordinata la Lazio, nervosa e confusa la Roma, la fotografia del primo tempo ha giustamente premiato il gioco del gruppo Inzaghi, più lesto a trovare le linee verticali e ad approfittare delle due distrazioni difensive avversarie, entrambe sulla zona di destra di Lopez dove Ibanez ha preso una sbornia davanti alle trottole di Lazzari. Non c’era con la testa la Roma, quasi pensando di poter giocare senza affanni particolari, non accorgendosi in tempo del ritmo e della tensione superiore dell’avversario.

Escludo che l’assenza del pubblico possa spiegare e giustificare l’abulia giallorossa, inesistente nella prima linea là dove Dzeko è stato un cartonato mai alla conclusione mentre il resto della comitiva ha frullato un football mai coerente. Di contro la Lazio ha tenuto il campo in ogni zona, dando l’impressione di essere pericolosa per ogni tentativo di attacco, Milinkovic si è espresso da gran signore, più oscuro il lavoro di Luis Alberto, comunque inquilino sicuro dove il solo Villar ha dato segni di reattività. Netto il vantaggio dopo la prima frazione, dunque, confortato dalla qualità del gioco.

L’innesto di Pedro per Veretout ha chiarito come Fonseca avesse capito le difficoltà di Dzeko a lavorare da solo nella prima linea. Strano il secondo cambio romanista con la rinuncia alla qualità di Villar inserendo Cristante per riequilibrare la fascia mediana. Non è cambiata la sinfonia, ogni azione laziale ha portato la Roma vicina all’esaurimento nervoso, due palle gol di Milinkovic e Immobile hanno confermato la superiorità biancazzurra nella sostanza e nella forma, esaltate dal terzo gol di Luis Alberto. La sostituzione di Calcedo con Escalante ha ribadito l’intelligenza, nel senso di capacità di lettura, di Inzaghi che così ha risposto all’arrivo di Cristante così come la rinuncia a Leiva toccato alla spalla e frenato da una ammonizione.

Come si usava nel calcio dei favolosi anni Cinquanta, Fonseca ha tolto due uomini di fase difensiva, Mancini e Spinazzola, tentando l’all in con Bruno Peres e Borja Majoral, roba piccola e malinconica in una serata il cui riassunto è il seguente: la Roma non è squadra, la Lazio sì.

Post scriptum: lo speaker che, con lo stadio deserto, urla i cognomi dei calciatori durante le sostituzioni, di quali problemi soffre?

Tony Damascelli