Guido è uscito, fisicamente, da scuola lo scorso mese di marzo, come tutti gli altri ragazzi, a causa del lockdown.

A differenza degli altri, però, non vi è più rientrato. Guido è un disabile con diagnosi di sindrome autistica “non verbale”. Non c’è bisogno di spiegare cosa voglia dire a livello comunicativo.

Lo scorso anno ha conseguito la licenza media, quindi a settembre avrebbe dovuto iniziare il suo percorso in un istituto professionale di Roma Nord, dove in effetti risulta iscritto.

Il fatto è che Guido, nel periodo in cui le superiori ancora svolgevano lezione in presenza, quindi fino a metà ottobre circa, non è mai potuto andare a scuola perché con l’orario provvisorio di tre ore poteva andare alle otto tramite il servizio del pulmino comunale, ma alle undici non poteva usufruirne perché non è previsto il servizio nelle fasce orarie di metà mattinata.

Sua madre, che nella scorsa primavera ha perso il lavoro in albergo a causa delle chiusure per il COVID, non poteva andare a prelevarlo, dovendo lavorare in case private come collaboratrice oppure in ditte di pulizie con incarichi saltuari.

Guido ancora non ha un insegnante di sostegno nominato, visti i ritardi a causa della situazione e, spesso fino a qualche giorno fa, i rifiuti di insegnanti supplenti per il concorso e per paura di un eventuale contagio.

Con la didattica a distanza, oggi DDI, la storia di Guido non è cambiata, è soltanto un po’ più abbandonato da chi dovrebbe titolarlo più degli altri: il Comune a oggi non ha ancora mandato gli assistenti domiciliari che potrebbero aiutarlo a superare questa fase di isolamento, quindi non se ne farebbe nulla nemmeno del tablet che gli spetterebbe in comodato d’uso dalla scuola.

Guido, trovandosi al primo anno di superiori, non ha ancora conosciuto i suoi compagni, quindi è invisibile anche per loro. Trascorre la giornata a casa con la nonna anziana. Vede la mamma a sera, quando lei rincasa dopo una giornata iniziata all’alba.

Guido formalmente è uno studente; nel frattempo, che fine ha fatto il suo diritto allo studio?

Paolo Marcacci