C’è un dovere di cronaca che onoriamo sempre, ma che oggi releghiamo a una riga, senza commento. Perché oggi è andato in scena un miracolo, nel Gran Premio del Bahrain, letteralmente. Va però precisato che si tratta di un miracolo della tecnica e del progresso nel campo della sicurezza, perché potremmo ricordare perlomeno tre piloti, tra gli anni settanta e l’inizio degli ottanta, vittime di incidenti che, se le loro monoposto avessero avuto il supporto dell’halo, non sarebbero risultati mortali: François Cevert a Watkins Glen nel 1973, in prova; nel 1977 Tom Pryce (fatevi un favore, non andate a rivedere il suo incidente) in Sudafrica, Patrick Depailler durante i test di Hockenheim nel 1980. 

Il fuoco è stato un qualcosa di “scenografico”, se così si può dire, dopo l’impatto di Romain Grosjean contro quell’assurda barriera trasversale. Ovviamente, di straordinario impatto emotivo per chi stava assistendo alla gara. Anche d’altri tempi, per l’effetto visivo: impossibile non ripensare a Niki Lauda. Poi, una volta compresa meglio la dinamica, abbiamo capito: Grosjean ha corso il rischio di essere decapitato, letteralmente. Come in quei precedenti che abbiamo ricordato. Ovviamente ha dovuto sopportare gli effetti di una decelerazione innaturale e alcune bruciature, ma fino a qualche anno fa sarebbe morto. Questo è. In modo atroce, peraltro. La tenuta della cellula lo ha protetto; l’halo è arrivato nel punto d’impatto con la barriera, altrimenti ci sarebbe stata la testa del pilota. 

E sì, poi c’è stata la gara. La cosa meno importante di oggi. 

Paolo Marcacci