Il malcontento delle imprese inizia a trovare le prime, intense valvole di sfogo. E se l’emergenza economica si sta rivelando preoccupante tanto quanto quella sanitaria, la sezione di Confcommercio della Toscana, decide di chiudere i rubinetti allo Stato in tutta risposta alla stretta di cinghia del Governo.

Niente tasse da pagare: stabilito lo sciopero fiscale delle imprese per dare un segnale forte all’esecutivo. Sono solo tre le imposte che lo Stato avrà dal settore privato come comunica a ‘Lavori in Corso’ il direttore di Confcommercio Toscana Franco Marinoni: Iva, prestazioni dei professionisti, tassa di soggiorno.
Tutto ciò per chiedere una sorta di cancellazione di tutta l’imposizione fiscale per questo anno terribile per le imprese, anche in vista di ciò che accade ad esempio in Germania, dove grazie al 75% del fatturato dell’anno precedente garantito alle imprese “si riesce a sopravvivere”.

Immediata la risposta da parte della Cgil: “Così’ si rompe il patto di convivenza civile” ha tuonato Massimiliano Bianchi, segretario generale di Filcams Cgil Firenze, cui Marinoni ha prontamente risposto durante l’intervista ai microfoni di Stefano Molinari e Luigia Luciani.

“Le nostre imprese sono allo stremo. Non ce la fanno più.
Hanno vissuto il dramma del primo lockdown con quasi tre mesi di chiusura delle proprie attività e voi immaginate cosa può significare per un’azienda avere impediti per legge gli incassi, ma veder correre quotidianamente i costi. Si può reggere qualche settimana, qualche mese, ma la fine poi è certa.

Nel primo lockdown – vi invito a una riflessione – c’era la gente che cantava dai balconi, adesso non canta più nessuno.

Questo secondo lockdown non siamo in condizioni di sopportarlo. Non ci permettiamo di fare valutazioni di merito circa la decisione, perché è di carattere sanitario, diciamo semplicemente che non ce la facciamo a stare in piedi. E’ un problema mondiale, non solo italiano. Ma questa gestione schizofrenica l’abbiamo avuta solo qua.

In Germania la Merkel ha stabilito un indennizzo del 75% rispetto al fatturato dello stesso mese dell’anno precedente: a queste condizioni staremmo tutti volentieri a casa ad aspettare che passi l’epidemia, perché col 75% di quello che si incassa quantomeno i costi si sopportano.
Con ristori di qualche centinaio di euro elargiti a cani e porci – anche a chi non se li merita – non resistiamo, non riusciamo a reggere. Quindi la risposta è stata che il ristoro ce lo facciamo da noi: evitiamo di pagare le tasse.

La scelta senza risorse – perché le aziende sono senza risorse – di non pagare le imposte per pagare dipendenti e fornitori secondo me da un punto di vista etico andrebbe apprezzata, perché siccome i soldi non ci sono io non me la sento di contestare o condannare i nostri imprenditori che decidono di pagare prioritariamente i dipendenti e i fornitori, che sono altre aziende che noi, invece che pagare le tasse ad uno Stato che non ci tutela, non ci capisce, non ci rappresenta”.