Lasciamo per il momento fuori dal discorso Suarez, presentatosi a Perugia con lo stato d’animo di un vip che va semplicemente a elargire foto e autografi, non con il minimo sindacale dei patemi che dovrebbe avere un esaminando (a conti fatti, alla fine, nemmeno esamina-to).

Lasciamo da parte anche la Juventus, della quale, certo ignoravamo che fosse diventata una confraternita culturale impegnata in modo disinteressato alla divulgazione della lingua di Dante presso la casta dei centravanti miliardari.

Ci saranno approfondimenti e supplementi d’indagine, nell’interesse delle stesse parti coinvolte, in primis.

Parliamo un attimo di chi è già condannabile, in chiave etica e morale; di chi comunque vada ha già fatto la figura peggiore; di chi si è macchiato in modo irreversibile. Parliamo dei professori, di quelli che in questa vicenda rappresentano l’autorità e avrebbero dovuto rappresentare la purezza del giudizio, oltre che il suo prestigio, vista la sede.

Parliamo dei virgolettati delle intercettazioni che li vedono protagonisti: sin dalle prime battute emergono una consolidata abitudine ai mezzucci, un modo di ragionare volto a compiacere il privilegiato di turno, non necessariamente un ex numero nove del Barcellona; soprattutto, si manifesta quella che è la “logica” stessa della corruzione: se di mezzo ci sono così tanti soldi, ogni riserva, morale o deontologica, è destinata a cadere ed è ridicolo persino tirarle in ballo. Anche ogni cautela, in realtà, come dimostra la disinvoltura di questi signori, sotto inchiesta da qualche mese.

Di meritocrazia non parliamo proprio: torneremo a tirarla in ballo quando in questo paese, in ogni ambito, si sarà restituito il senso al vocabolo.

Prima di parlare della Juventus, degli sviluppi dell’indagine che al momento in cui scriviamo non possiamo conoscere e della “promozione” di Suarez, ricordiamoci di chi si è già bocciato da sé di fronte all’opinione pubblica, ossia i professori di Perugia, simbolo dell’Italia peggiore.

Paolo Marcacci