Talvolta anche l’allineatissimo Massimo Cacciari si risveglia e dice – ebbene sì – qualcosa di vero, qualcosa di non allineato con l’ordine dominante. È successo l’altro giorno, allorché ha qualificato il capitalismo terapeutico gestito da Conte una “dittatura democratica”.

Ho sempre ritenuto che le parole che Marx applicava a Proudhon si potessero riferire, con una piccola variazione, anche a Cacciari: presso i politici, che non sono filosofi, egli passa per un grande filosofo; e presso i filosofi, che non sono politici, egli è considerato come un illustre politico.

Il percorso teorico di Cacciari si lascia inquadrare abbastanza facilmente: non avendo molto da dire, deve dirlo in una forma tale per cui il lettore ritenga sempre propria responsabilità il non aver trovato nulla nelle pagine lette.

Il percorso di Cacciari rientra appieno in quelle che Merleau-Ponty ebbe a definire le ‘avventure della dialettica’: un tentativo di dimenticare Marx, di esorcizzarlo e di esorcizzare, con Marx, il proprio passato marxista.

Sorte analoga di molti altri Sessantottini, passati ad avvelenare i pozzi in cui avevano bevuto. Divenuti ciò contro cui combattevano.

Dicevamo, quella di Conte, occasionata dal Coronavirus, è stata secondo Cacciari una “dittatura democratica”. L’espressione è, ovviamente, demenziale. Ma, se non altro, rivela che perfino Cacciari ha capito che, dopo tutto, qualcosa non torna.

RadioAttività, lampi del pensiero quotidiano – Con Diego Fusaro


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