La cultura è un lavoro, con le stesse scadenze e doveri che hanno tutte le aziende. Non tutti però sono dello stesso avviso ed è sentire comune l’idea che quello dell’artista non sia un lavoro “indispensabile”. Anche il Governo pare fare orecchie da mercante sull’argomento ed è per questo che tantissimi artisti e personaggi del mondo della musica sono scesi in piazza.

Cosmo, Ghemon, Levante, Manuel Agnelli, Diodato, Lo Stato Sociale… Tutti a un metro di distanza, con la mascherina, in silenzio: è con un flash mob in Piazza Duomo a Milano che hanno scelto di manifestare. Più o meno piccole, le imprese culturali sono state le prime a chiudere e saranno le ultime a riaprire. Che ne sarà di tutte le persone che lavorano dietro le quinte? Concerti, spettacoli, ma anche cinema e sagre di paese. Tantissimi lavoratori “a spasso” con poche certezze su come giungere indenni alla prossima stagione lavorativa.

A ‘Lavori in corso’ Stefano Molinari e Luigia Luciani ne hanno parlato con Emiliano Colasanti, Produttore della 42 Records, che ha lanciato una provocazione: “Come sarebbe stato il lockdown senza la musica? Prima era la cosa che rendeva unito questo paese e ora improvvisamente è inutile?”

Ciò che chiedono, in questa fase, è un confronto più aperto soprattutto alla luce di un pregiudizio, di quella che Colasanti ha definito una divisione storica: “Si ritiene che la musica classica e jazz rientrano nella cultura, la musica leggera no. Il Ministro Franceschini – continua Emiliano Colasanti – ha twittato sul Festival di Ravenna dicendo ‘ottima ripartenza per la musica’. Questa è la cosa che ci dà fastidio: è come se esistesse un solo lato della faccenda e l’altro lato non si volesse vedere. Come se un solo lato della musica fosse importante e l’altro no“.


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