Il nuovo paradigma del capitalismo securitario e della sua riorganizzazione autoritaria e verticistica dei rapporti di forza si fonda su un’emergenza destinata a farsi inestinguibile: e ciò affinché inestinguibili divengano le misure autoritarie prese nel contesto dell’emergenza e inammissibili nell’ordine della normalità.

La situazione d’emergenza, reale o narrata, si rivela funzionale alla produzione di un regime di razionalità politica che è esso stesso funzionale al nuovo ordine del capitalismo sanitario. Quest’ultimo, come già si è visto, alterna il distanziamento sociale permanente a momenti di temporaneo lockdown (che è, poi, il distanziamento sociale nella sua forma iperbolica). Nella forma tipica dello yo-yo, il capitalismo sanitario alterna senza posa la fase 1 e la fase 2, la reclusione totale e la parziale riapertura: così facendo, desta la sempre viva illusione di una fine dell’emergenza che, invero, non giunge mai e, insieme, lascia ricadere sui cittadini irresponsabili e poco collaborativi la colpa del costante ritorno alla fase 1.

Questa, che appare una obiettiva dinamica agli occhi dei più – sedati, terrorizzati e assuefatti dall’ordine del discorso terapeuticamente corretto – coincide con una nuova razionalità politica, che si fonda sull’emergenza permanente, e con un nuovo metodo di governo, che per garantire la salvezza delle vite deve congelare le libertà e i diritti. Dice di farlo solo pro tempore, per la durata della crisi emergenziale: e, intanto, quest’ultima si prolunga di giorno in giorno, andando a sostituire la normalità e, con essa, il normale ordine delle libertà e dei diritti.

Non si dimentichino, a tal proposito, le parole di Giuseppe Conte (16.5.2020): “stiamo affrontando un rischio calcolato con la consapevolezza che la curva epidemiologica può tornare a salire”.

Esse si debbono leggere insieme con l’altro suo motto, più volte ribadito: quello in accordo con il quale la fase 2 non è “un liberi tutti”. In sostanza, mentre i più si godono la temporanea libertà vigilata della fase 2, sempre limitata da quel principio del distanziamento sociale che è ormai la nuova norma del capitalismo sanitario, il potere sembra già essere proiettato al ripristino della fase 1.

Intanto, il 19 maggio già i “professionisti dell’informazione” ci informavano che i contagi stavano moltiplicandosi, addirittura raddoppiando: “Il bollettino della Protezione civile. Sono quasi raddoppiati rispetto a ieri i nuovi casi di Coronavirus in Italia” (“Il Fatto Quotidiano”, 19.5.2020). Ancora una volta – a proposito della già evocata falsa obiettività dei dati – non si sono peritati di comunicare se, oltre al numero dei contagiati, fosse salito anche quello dei tamponi effettuati.

Insomma, se si presta fede al discorso politicamente, terapeuticamente e giornalisticamente corretto, il ritorno al lockdown pare già annunziato e ormai prossimo.

Tanto il Presidente del Consiglio, quanto gli amministratori locali, hanno da tempo assunto la nuova fisionomia del “dominus” con poteri pressoché illimitati, che può discrezionalmente – come se la Costituzione mai fosse esistita – recludere i cittadini e fare abbassare le serrande alle attività.

Così, ad esempio, nel Veneto del governatore Zaia: “Spritz alla mano e senza mascherina, Zaia: siamo pronti a chiudere tutto”. E, non molto diversamente, ma forse con parole ancora più schiettamente neopadronali, il governatore della Sicilia, Musumeci: “I siciliani hanno dimenticato la paura, pronto a tornare indietro”. L’aveva preceduto, sempre in Sicilia, il sindaco di Palermo: “Gente in spiaggia e nei parchi a Palermo? Orlando pensa a chiudere tutto”.

Insomma, il regime di razionalità tra l’emergenziale e il terroristico sembra funzionare. Ed è pronto ora a far tornare la popolazione agli arresti domiciliari, addossandole peraltro la colpa di ciò.

Alla colpa del debito propria del paradigma della crisi economica si affianca ora la colpa terapeutica di chi non ha rispettato le norme e non ha “tenuto i conti in ordine” (dei contagi, in questo caso). Nella crisi economica come in quella terapeutica, le misure “punitive” si giustificano come dovute all’irresponsabilità pregressa di chi ora le subisce: in entrambi i casi, si paga e a caro prezzo l’aver vissuto “al di sopra delle proprie possibilità”.

RadioAttività, lampi del pensiero quotidiano – Con Diego Fusaro


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