Si è registrata sabato sera una nuova epifania del Vis-Conte giallofucsia, il quale ha annunziato al paese le linee guida del cosiddetto decreto rilancio.
Un passaggio più di tutti merita di essere evidenziato: in più occasioni lo zelante avvocato dei mercati apolidi ha ricordato che gli eventuali allentamenti delle restrizioni, in primis del lockdown, non erano certo un “liberi tutti”.
Quasi a mantenere ben salda nei cittadini la consapevolezza del fatto che il regime sanitario è lungi dall’essere terminato.

Ebbene, sabato sera il Vis-Conte dimezzato giallofucsia ha asserito: “Resta il divieto di assembramento in luoghi pubblici“.
Coerente con la privatizzazione liberista dell’esistenza e con il niente affatto neutro tramonto della sfera pubblica, il divieto di assembramenti e dunque di pubbliche riunioni, di manifestazioni politiche, di proteste di piazza, è stato una costante da marzo ad oggi e ha di fatto paralizzato la vita pubblica degli italiani e ogni attività politica. Ha per così dire sequestrato i luoghi di confronto, quelli dove si sviluppano le relazioni non elettroniche.

Ovviamente la messa in congedo del diritto di assembramento è spiegata come sempre in nome dell’emergenza, e ciò costituisce una prova per la nostra tesi del paradigma securitario come nuovo pontamento del capitalismo autoritario e terapeutico.
Esso riduce le libertà fondamentali in cambio della conservazione della nuda vita.

Un solo precedente

Personalmente non ricordo precedenti del genere nella vita pubblica italiana.
Per trovare qualcosa di analogo sono dovuto risalire alle leggi fascistissime, testo unico di pubblica sicurezza: testo unico di pubblica sicurezza, novembre 1926, numero 1848.
Qui si parla espressamente di restringimento della libertà d’associazione.

Ovviamente le anime belle nonché i troppi affetti dalla sindrome di Stoccolma, diranno che è un paragone insensato, giacché il fascismo era una dittatura, mentre invece oggi prospera la democrazia, o se anche non prospera, ciò dipende soltanto dall’emergenza del Covid-19.

Anche il fascismo impose il divieto di assembramento non certo presentandolo come una scelta libera, ma come una necessità, in particolare volta – questo il subdolo argomento – a proteggere la vita pubblica dello stato dai pericolosi cospitratori complottisti, come si direbbe oggi.

Non si baratta la libertà per la sicurezza

Oggi è invece un virus a rendere plausibile agli occhi dei più il divieto di assembramento, ossia la rinunzia ad una delle prerogative principali che distinguono una democrazia da una dittatura.
Il fascismo prometteva sicurezza impedendo l’assembramento dei cospiratori, il regime sanitario garantisce salute vietando i raduni dei contagiati: in entrambi i casi si baratta la libertà per la sicurezza.

Cosa pensa davvero Mattarella?

Vale allora ricordare le parole del Presidente Mattarella in occasione della celebrazione del 25 aprile dello scorso anno: “La storia insegna che quando i popoli barattano la propria libertà in cambio di promesse di ordine e tutela, gli avvenimenti prendono sempre una piega tragica e distruttiva“.
Certo, valeva ieri. Ma non può valere anche oggi?

RadioAttività, lampi del pensiero quotidiano – Con Diego Fusaro


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