Ho deciso in questo momento particolare della vita del Paese di offrire soltanto attività di approfondimento e di concreta proposta.  

Mi preoccupa molto quel mondo che garantisce un presidio, una luce, un ricovero… un posto vivo che accende una strada. 

Il negozio rappresenta un luogo di valenza sociale, economica, ambientale, culturale… un approdo vigilato dalla presenza umana. 
Una luce che allontana il deserto. 

Il sabato del villaggio senza i suoi attori assumerebbe le sembianze di una natura morta

Un tempo i mercati e soprattutto le strade erano piene di artigiani, di ristoratori locali, di piazzisti, di punti vendita caratterizzati da una grande varietà di categorie merceologiche che si susseguivano nei viali senza soluzione di continuità. 

Anche la qualità dei prodotti era diversa con una scala di valore adatta per tutte le tasche e per tutti i gusti. 
E quei luoghi erano presidiati da generazioni che si tramandavano il mestiere. 
Quanto calore abbiamo perso nel tempo. 

Conoscevo tanti commercianti del mio quartiere, allora si chiamavano e ci chiamavamo tutti per nome, dal ciabattino all’elettrauto… c’era l’intera catena alimentare… dal pizzicagnolo, al norcino, dal fornaio, al pizzettaro, al vino ed oli (scusate il dialetto romano). 

Gli elettrodomestici si compravano sotto casa dopo che li avevi visti cento volte prima di acquistarli, perché i soldi erano pochi e non si poteva sbagliare. 

Chiedevi sempre se fossero di una buona marca ed il commerciante che ti vedeva tutti i giorni la “sola” non te la dava mai. 

La reputazione era tutto per un commerciante anche perché sapevi sempre dove trovarlo. 
Era un’altro mondo più semplice, più genuino, più diretto, più sincero. 

Oggi una saracinesca spesso chiude dopo sei mesi, allora di media, dopo quarant’anni e soltanto qualora i figli avessero preso altre strade. 

Poi vennero i centri commerciali, e tanti soldi presero quella direzione, ma gli avamposti locali ancora resistevano. 

Quello che sta desertificando i nostri quartieri è la globalizzazione

Il rapporto con la merce da acquistare, un tempo, era reale, oggi è diventato virtuale, mentre quello con l’esercente è stato stralciato.
Il commercio sta perdendo il suo lato umano. 
Un tempo fare la spesa era un’arte, oggi una mera necessità. 

Pensiamo a correre, a correre sempre a correre e… mentre corriamo perdiamo calore… perdiamo memoria… e soltanto quando arrestiamo la nostra corsa ci viene mente la frase: qui c’era… un’insegna, ma soprattuto un uomo, una donna. 

Alcuni, con i loro soprannomi ed i loro vezzi, erano dei veri e propri personaggi di un teatro che fu… che ha perso per sempre la sua stagione, il suo cartellone…

E dove la nostalgia rammenta e la memoria rispolvera, si staglia il tempo migliore, che vorresti rivivere con la voglia e la consapevolezza di oggi. 

Tornare a profumi, sapori e sopratutto atmosfere irripetibili… e mentre tu correvi, ti allontanavi, quel mondo iniziava a sparire, senza che quasi te ne accorgessi, senza che quasi t’importasse, tanto eri distratto dal nulla, tanto eri di corsa, mentre il mondo dietro di te spariva. 

Oggi che il tempo qualche ruga sul volto me l’ha impressa, dalle mie prigioni mi fermo a pensare a quanto il disegno naturale ci sia sfuggito di mano per lasciare il campo a quanto di più inutile, artificiale.

E sento intorno a me un ambiente sempre più freddo, distante, incerto 

Forse il mondo per la mia generazione è cambiato troppo in fretta tanto da non poterlo assaporare come meriterebbe, ma sono preoccupato per quella faccia moderna, apparentemente sfavillante, straordinariamente veloce, ma maledettamente arida. 

Già ci separavano dal mondo reale gli strumenti della tecnologia, oggi ci si è messo pure il nostro caro amico Covid 19. 

La globalizzazione non nego che abbia avuto i suoi vantaggi, ma anche reso tutto più scadente e massificato. 

Il rischio oggi è che tanti negozi non c’è la facciano a ripartire, e che quelli che rimangono abbiano vita breve perché costituiranno una vetrina di servizio per quei prodotti che la gente poi acquisterà ad un prezzo più basso dalle multinazionali, che potranno praticarlo agevolmente perché affrancate da ogni spesa di pubblicità sul prodotto. In quanto tale dispendioso servizio verrà svolto, permanentemente sul territorio, dai negozi e dalle loro vetrine.  

Una sorta di esposizione capillare e permanente, a costo zero, per una facile speculazione delle multinazionali della logistica. 

D’altro canto per tali macro organismi e per la grande distribuzione il coronavirus ha rappresentato una manna dal cielo perché probabilmente darà il colpo di grazia ad una categoria già particolarmente debole ed inguaiata. 

Ma una soluzione semplice ed indolore ci sarebbe

Proposta: 

Che la legge imponga agli imprenditori di scegliere liberamente se affidare la vendita dei loro prodotti al negoziante o attraverso la telematica con la vendita a distanza. Senza promiscuità. 

Chi vende a distanza non potrà quindi utilizzare più la vetrina del negozio come mezzo di promozione dei propri prodotti, dovrà utilizzare canali alternativi come ad esempio la pubblicità presso i media locali lasciando pertanto sul nostro territorio anche questa parte degli investimenti. 

Ed al negoziante rimarrà il vantaggio di far rivivere la qualità di un rapporto umano ed affidabile, oltre al vantaggio di promuovere il contatto reale con la merce. Ed in questo avrà soltanto competitor di medesimo rango (altri negozianti) e non più i marziani della logistica che ci vorrebbero solo come loro clienti sciocchi e seriali o come loro fattorini, per poi pagare le tasse sui loro lauti profitti nei paradisi fiscali.

Enrico Michetti


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