Sovraffollamento nei carceri: non è solo un problema di Covid, si sa da anni, ma è una realtà il fatto che rispettare le misure imposte per la tutela della salute a queste condizioni è pressoché impossibile. Alla base delle rivolte che si sono verificate nel mese di marzo c’era principalmente lo stop per i detenuti agli incontri con i familiari. Ma se per rispettare le misure imposte dal Governo nemmeno le persone che si trovano in condizioni di normalità incontrano, per esempio, i propri familiari che si trovano in strutture specifiche, perché sposare la protesta dei detenuti? E ancora, esistono delle soluzioni per porre fine al problema del sovraffollamento? Quanto è stata strumentalizzata la vicenda delle rivolte e delle morti avvenute in carcere?

Sulla questione hanno le idee molto chiare Daniela Caputo, Segretario Nazionale del Sindacato dei Dirigenti del Corpo di Polizia Penitenziaria, e l’Avv. Fabio Frattini, Componente della Giunta Unione Camere Penali.

A loro Stefano Molinari e Luigia Luciani hanno rivolto questi dubbi. Ecco cosa hanno detto.

“Le voci su amnistie o indulto che si stanno diffondendo sono più che altro strumentali – ha detto Daniela Caputo in collegamento – i problemi dell’amministrazione penitenziaria quali quelli del sovraffollamento sono esistenti da anni, il coronavirus probabilmente ha dato quella pubblicità che fino a prima dell’emergenza non c’era. Ma non è un problema che si può risolvere con l’indulto o l’amnistia. La nostra proposta consiste nell’utilizzare misure alternative al carcere: laddove possibile, laddove ci siano i requisiti si può ricorrere a misure alternative. E’ evidente che sono necessarie alcune garanzie per la corretta esecuzione della pena, tra queste la vigilanza. Nella nostra proposta si pensava a vigilanza attiva da parte del personale di Polizia Penitenziaria”.

“D’accordissimo su un più ampio utilizzo delle misure alternative – ha aggiunto l’Avv. Fabio Frattinilo abbiamo sempre proposto e individuato delle ipotesi. Quando è scoppiata la pandemia nelle carceri erano presenti 62 mila detenuti, 62 mila le carceri italiani non li possono sostenere. C’erano 12 mila in più. Assicurare il distanziamento sociale a persone che devono stare in 5 in pochi metri quadrati non è proprio il massimo per curare la salute. Noi avevamo individuato anche un’altra strada, quella di limitare al massimo che persone che sono ancora sottoposte a procedimento siano ristrette in carcere. Un terzo delle persone in carcere sono ancora in attesa di un giudizio, non si sa se sono colpevoli o innocenti, ma intanto si trovano in carcere. In un paese civile non dovrebbe accadere”.

La questione che maggiormente ha diviso è poi quella che riguarda la strumentalizzazione, anche da parte di alcuni politici, di quanto accaduto all’interno dei penitenziari durante le rivolte.

“Si voleva tirare la corda e ottenere misure clemenziali che non servono a risolvere il problema del sovraffollamento – ha commentato Daniela Caputosi è cercato di strumentalizzare anche la morte di alcuni detenuti. Si è trattato di decessi legati a overdose di metadone e di altre sostanze stupefacenti alle quali alcuni detenuti rivoltosi hanno avuto accesso durante le devastazioni”.

“Io non ritengo che ci sia stata una regia occulta in quelle rivolte nel carcere – ha aggiunto poi l’Avvocato Frattini però io sono rimasto un po’ male nel momento in cui è arrivato il decreto che ha imposto a tutti di stare dentro casa. Pensiamo a quelle persone che si trovano all’interno del carcere che l’unico momento che aspettano è quello di avere la visita dei propri familiari. Partendo dal presupposto che noi biasimiamo ogni forma di violenza, tu Stato mi puoi imporre il rispetto delle regole nel momento in cui tu rispondi a delle regole. Prima mi imponi il distanziamento sociale e poi non mi permetti di essere distanziato rispetto a un altro?”


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