“Medici categoria più contagiata non è un caso, c’erano direttive precise per evitare tutto questo” ► Sigfrido Ranucci

Giunge a 69 il numero dei medici morti in italia per l’epidemia di coronavirus, in totale sono 10mila i camici bianchi contagiati che dunque hanno lasciato temporaneamente la prima linea contro la pandemia, abbandonando i turni massacranti per la quarantena.
Numeri che fanno venire le vertigini, dovuti soprattutto ai tanti focolai presso i presidi sanitari, le case di cura, gli ospedali che hanno causato altrettanti infetti.

Tutto dovuto soprattutto alla mancanza delle buste condizioni di sicurezza, che nei protocolli pandemici dell’OMS sono delineate con precisione e che l’Italia avrebbe dovuto aggiornare anziché restare all’ultima modifica risalente al 2010, seconda per trascuratezza solo alla Spagna il cui ultimo aggiornamento di queste misure risale addirittura al 2006.

Si tratta di protocolli che indicano numeri precisi di mascherine, tamponi e altre attrezzature di sicurezza devono esserci negli ospedali, stabilite grazie a un calcolo proporzionale ai posti letto e al numero di medici operanti.
Così, senza una base sicura di regole l’efficienza italiana nel garantire cure aglininfetti da coronavirus è risultata un’arma a doppio taglio, come ha spiegato Sigfrido Ranucci, giornalista di Report che sta indagando sul mancato aggiornamento delle misure di protezione.
Ecco l’intervista di Francesco Vergovich a ‘Un giorno speciale’.

“Medici categoria più contagiata non è un caso, c’erano direttive precise per evitare tutto questo” ► Sigfrido Ranucci

Credo ci sia bisogno non di trovare delle responsabilità, perché verrà il tempo per farlo, ma di capire dove si è sbagliato, quali sono gli errori e non sbagliare più in futuro.
Noi abbiamo un debito con i nostri giovani, dobbiamo cercare di lasciargli un mondo migliore evitando di commettere i refusi che abbiamo commesso con i nostri genitori, dimostrandoci impotenti nel difenderli.

Siamo andati a vedere perché mancano le mascherine, perché mancano i dispositivi di protezione: c’era un piano pandemico che doveva essere pronto, aggiornato. Quantificare quante mascherine mancavano per gli operatori sanitari in prima linea.
Questo avrebbe evitato che gli ospedali, le case di cura e i pronto soccorsi diventassero centro di focolai, non è un caso che i medici siano stati la categoria più colpita, non è un caso che questi ospedali frammentati sul territorio senza un’adeguata medicina domiciliare diventano degli incubatori del virus: insomma, c’è da rivisitare tutto il sistema sanitario italiano come l’abbiamo pensato.

Noi siamo stati eccezionali nel garantire assistenza a tutti a differenza degli altri paesi, ma proprio questo ci ha penalizzato. L’assistenza va data a tutti, è ovvio, ma bisogna rivisitare la sanità in modo diverso per essere pronti a queste pandemie: noi siamo anche paese leader in Europa per la resistenza dei batteri agli antibiotici, quindi c’è qualcosa nel nostro sistema sanitario che non funziona“.


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