Cuochi e chef senza cappello suscitano l’irritazione di molti. La norma prevede che i professionisti della cucina debbano indossare un copricapo, adatto a contenere tutta la capigliatura, per evitare che capelli e altri elementi indesiderati finiscano nei piatti.

In televisione, fa notare Roberto La Pira de Il fatto alimentare, gli aspiranti cuochi di Masterchef appaiono sempre senza cappello. E non solo loro. Anche nei film, gli attori che interpretano il ruolo di chef affermati non indossano la mitica toque blanche, simbolo di una categoria professionale. Fascinoso accessorio che rimanda ad un mondo fatto di prelibatezze, ma anche di duro lavoro e sacrificio. I cooking show e le trasmissioni web a tema culinario non fanno differenza: sono pochissimi i cuochi che mostrano fieri il cappello, gli chef quasi pari a zero.

Forse però, pur comprendendo le ragioni alla base della tesi proposta dal Fatto Alimentare, secondo la quale la televisione dovrebbe dare il buon esempio (soprattutto perché nei ristoranti la norma sul copricapo è sempre più spesso disattesa, non tanto dai cuochi quanto dagli chef), si dovrebbe fare una distinzione.

Cucine professionali VS show televisivi

Le cucine professionali, cioè quelle di ristoranti, bar, fast food, pub e locali analoghi sono tenute a rispettare le leggi: quello che gli chef preparano, con i loro assistenti, finisce sulle tavole degli avventori; è cibo destinato al consumo. Diversamente da quello cucinato in tv, generalmente in pochi minuti, nel rispetto dei tempi televisivi. In questo caso si tratta di cibo al quale specifiche inquadrature, accompagnamenti musicali e commenti dei conduttori e degli stessi cuochi conferiscono un allure particolare.

I piatti “catodici” non vengono serviti ai telespettatori, per evidenti ragioni, né al pubblico in studio, per questioni di sicurezza. Inoltre, se la funzione educativa può essere evocata quando si tratta di tv pubblica, lo stesso non si può pretendere di fare se ci si riferisce a quella commerciale, che non è tenuta ad assolvere quel compito.

Altra questione, importante tanto quanto la precedente, è il ruolo che cuochi e chef “recitano” davanti alle telecamere. Pur restando professionisti nella realizzazione di soluzioni gastronomiche, assumono anche un’altra diversa e non meno importante veste: quella di comunicatori, che richiede specifiche (e non scontate) doti.

Si tratta di “un altro lavoro”, o forse sarebbe meglio definire uno chef in tv come persona con capacità multiple che vanno oltre la cucina. Perché curare un sito personale, farsi conoscere attraverso un blog o canali come YouTube, scrivere uno o più libri, frequentare i social da influencer, partecipare ad un cooking show o ad un qualsiasi programma televisivo prevede anche altre abilità.

Bisogna avere confidenza con le telecamere, un linguaggio chiaro e semplice, una particolare attitudine alla comunicazione, anche in presenza di altri colleghi; occorre anche saper entrare in relazione con i conduttori e gestire il tempo, capitalizzando ogni secondo. Il mestiere del cuoco, che va distinto da quello dello chef (che è il responsabile della cucina, una sorta di direttore d’orchestra) assume altre sfumature; entrambi diventano altro se esercitati in uno studio di registrazione.

Dietro le quinte entrano in gioco altri fattori, altre professionalità, ai fini di un intrattenimento ben studiato che di certo è differente dal lavoro nella cucina di un ristorante: ma al tempo stesso occorrerebbe riflettere maggiormente su come essere uno show chef sia un mestiere vero e proprio, differente dal cuoco nel senso classico ma non per questo di minore importanza. Perché fare televisione non rappresenta sempre e solo puro edonismo, come alcuni erroneamente pensano. Trasformare la cucina in comunicazione efficace richiede doti che vanno oltre quelle del cuoco. È un lavoro di valore, esattamente come lo è quello dell’attore di cinema o di teatro, spesso oggetto di pregiudizi. C’è tanto studio, ricerca e fatica dietro quelle telecamere. E forse dovremmo soffermarci a coniare un preciso termine per definire un mestiere senza cappello perché semplicemente differente.

Fonte: Prodigus.it