Per millenni, per portare il cibo dal piatto alla bocca, ci si è sempre serviti delle mani. Al massimo, si utilizzava la punta dei coltelli per infilzare i pezzi di cibo ancora caldi. Ma quando è entrata in uso la tanto cara forchetta, utilissima anche per svolgere tante altre operazioni in cucina? Scopriamo insieme qualche aneddoto storico che ruota attorno ad essa.

In realtà un reperto archeologico esposto presso il Museo di Ventimiglia, rivela che sembra fosse uno strumento – seppur in versione molto primitivo – già in uso presso i Romani, ma il passaggio che la vide diventare un arnese a più denti pare avvenne nell’alto Medioevo alla corte di Bisanzio, dove un acuminato pugnale si trasformò prima in un imbroccatoio (simile ad uno spillone) e poi in un primordiale prototipo della forchetta.

Nella letteratura italiana, dopo l’anno Mille, le forchette iniziano a girare copiose tra le mani dei mercanti tra Venezia, Pisa e Firenze, ma nelle corti vigeva ancora l’etichetta tradizionale – “dogma” di Ovidio – delle “tre dita”, che imponeva di attingere dal piatto direttamente con le mani per afferrare il cibo solido. 

Un concetto, quest’ultimo, che inizialmente fu davvero difficile da riuscire a sradicare dalla tradizione sia popolare che aristocratica. E’ d’esempio una notizia inequivocabile dell’uso della forchetta personale da tavola che dobbiamo a San Pier Damiani (1007-1072), il quale narra di una principessa bizantina, recatasi a Venezia per sposare un doge, che non toccava il cibo con le mani preferendo usare una forchettina a due denti.

Ma il promesso sposo ne restò scandalizzato, e abbatté tutta la sua collera sullo strumento, giudicandolo un lusso diabolico e una raffinatezza scandalosa; a tal punto che usarlo, in seguito a questo evento, utilizzare la forchetta venne ritenuto un segno di debolezza, soprattutto tra i membri maschili della classe nobiliare.

Ancora una testimonianza giunge a noi da Ludovico Antonio Muratori, autore degli “Annali d’Italia”, che cita – nel 1071 – la presenza della forchetta al banchetto allestito in occasione delle nozze del doge Domenico Silvio con un’altra principessa bizantina, ma ancora in epoca tardo medioevale nelle corti si veniva giudicati raffinati se si mangiava “maestosamente” con le mani!

La probabile “svolta”, ovvero l’imporsi dell’uso della forchetta come simbolo delle buone maniere, si verificò solo nel ‘500. Ma mentre la popolazione cittadina borghese e mercantile cercava di usarla tutti i giorni, i nobili la ritenevano non obbligatoria, ma da aggiungersi semmai ad altri indispensabili segni di civiltà quali abbondanza di tovaglie e tovaglioli e abluzioni ripetute prima e dopo gli incontri a tavola importanti.

Dalle corti italiane la forchetta si diffuse lentamente in Europa, dove ancora nel Seicento gli aristocratici mostravano resistenze ad abbandonare l’uso delle dita, come testimoniano anche le tradizioni che vigevano alla corte di Luigi XIV. 

A conferma di questa riluttanza verso la forchetta, segnaliamo una cronaca che vedrebbe protagonista Caterina de’ Medici. Sembrerebbe che quando la regina fece provare la posata a più denti al marito Enrico II e ai propri commensali, questi si rivelarono piuttosto maldestri nel maneggiarla: “Nel portare la forchetta alla bocca, si protendevano sul piatto con il collo e con il corpo. Era un vero spasso vederli mangiare, perché coloro che non erano abili come gli altri, facevano cadere sul piatto, sulla tavola e a terra, tanto quanto riuscivano a mettere in bocca”. 

Per arrivare all’utilizzo diffuso della forchetta in Italia, bisognerà aspettare oltre la metà del ‘700, epoca in cui iniziò a celebrarsi più concretamente anche il celebre matrimonio con gli spaghetti (vermicelli). Pare infatti che soprattutto per agevolare la presa dei “fili di pasta”, il ciambellano di re Ferdinando IV di Borbone portò a quattro il numero dei rebbi della posata.

Fonte: Prodigus.it