E’ incominciata la devastazione dell’apparato riproduttivo.

Nessuna malattia precoce, trattasi del Festival di Sanremo e di tutto quello che si porta appresso, prima, durante e dopo.

E’ l’evento Rai, è l’evento Italia, è l’evento che per cinque sere raggruma il peggio o il meno peggio della musica leggera, spesso pesante.

Leggendo l’elenco dei ventidue concorrenti, gentilmente passato a Repubblica dal prode Sebastiani Amedeo Umberto Rita, in breve Amadeus, rileggendo, dicevo, quella lista ti accorgi che, fatto il paragone blasfemo, sarebbe come allestire il campionato di calcio, divisione nazionale serie A, con Inter, Juventus (ma nemmeno quelle) e altre squadrette non meglio conosciute fuori dalla dogana di Ponte Tresa.

Oppure presentare le nomination agli Oscar con film di quartiere perché i migliori registi e i migliori attori non vogliono accettare la sfida.

Così accade al festivàl, con l’accento sulla seconda vocale.

Non c’è Paolo Conte, non canta Zucchero Adelmo Fornaciari, non risultano Pausini e Ramazzotti, non gareggiano Celentano e Mina, nemmeno Paoli e Pravo o Venditti e De Gregori, figuriamoci Battiato o Fossati, Bennato o Branduardi, Renato Zero o Capossela, Vasco Rossi o Ligabue. Li ho citati così, a memoria, l’elenco prosegue ma a Sanremo vedremo altre belle gioie, alcuni sconosciuti ai più ma famosissimi nei social e affini, per acchiappare il pubblico di “cciovani”, come se gli Under provino eccitazione stando davanti al televisore per sere cinque, sabato compreso, fino all’ora una post mezzanotte.

Ma va là.

Sanremo è una sagra paesana benissimo pagata, con sindaco e assessori della cittadina pronti ad esibire il loro faccione, tanto i denari per la kermesse sono pubblici e non privati, compresi quelli della Rai che mette la palla in corner parlando degli sponsor.

Ma Sanremo è già oggi, nei vari talk radiotelevisivi si spinge, si pubblicizza. Amadeus in breve occupa ogni spazio possibile, veste in modo improbabile, non presenta ma vende il prodotto come si usava e si usa fare nei mercati e nelle piazze con pesce, pentole e affini.

Fa parte della combriccola venuta su a pane e dischi nelle emittenti private, è sodale di molti illustri dj, essendo interista forte, ha chiamato l’ultimo dei figli Josè, in omaggio a Mourinho del triplete.

Per fortuna della consorte Giovanna, la coppia non ha provveduto a sfornare altri pargoli che, ahi loro, avrebbero rischiato di nomarsi Rafael, Gian Piero, Claudio, Andrea, Walter, Roberto, Frank, Stefano, Luciano, Antonio, seguendo l’araldica dei panchinari nerazzurri post duemila e dieci.

Preparatevi all’abbuffata.

Tony Damascelli