La domanda sembra banale, per un italiano senza tessere di partito e moderato quale mi ritengo, ma forse non lo è.

Una dittatura limita la libertà di espressione, la libertà di movimento, impone i propri miti, detta la propria linea, persegue i propri nemici e trascura (sarebbe più corretto dire “oscura”) i diritti di tutti coloro che rappresentino un corpo estraneo al regime.

Oggi siamo sicuri che coloro che si ergono a censori di presunti comportamenti razzisti da parte degli italiani, che invocano leggi speciali, che pongono al centro della scena la sofferenza straziante subita dal popolo ebraico (effettivamente patita e nei confronti dei quali va tutto il mio rispetto) non siano altro che degli affabulatori  fraudolenti, i quali attraverso una assurda colpevolizzazione del popolo italiano vorrebbero renderlo domo e prono e distoglierlo dai veri problemi del Paese, dalla loro incapacità a risolverli, ma soprattutto dalla loro disonestà pretesa di mantenere il comando pur non sapendolo gestire?

Erano gli anni 70’ quando accompagnai mio padre in Friuli in occasione del terribile terremoto, ero poco più di un bimbo, ma l’esperienza nella sua tragicità fu straordinaria, allora non esisteva la protezione civile ma soltanto l’esercito.

Gli alpini entrarono nel cuore della gente per il loro sacrificio e per l’amorevole dedizione con cui affrontarono il disastro.

Il motto era “prima ricostruiamo le fabbriche e poi le case” e così avvenne … quel terribile terremoto ha lasciato cicatrici profonde ma la rinascita è stata esemplare.

Fu lì che conobbi Costantino, un esule istriano.

Era giunto in Friuli nel 1948 da un paesino vicino Pola, il terremoto gli era scivolato addosso come fosse acqua fresca.

Aveva lo sguardo perso nel vuoto e stranamente non cercava nessuno.

Una signora gli buttò una giacca sulle spalle quasi sentisse freddo per lui.

Mio padre mi disse che lì tutti conoscevano la storia di Costantino e tutti lo rispettavano in silenzio.

Costantino era un italiano nel posto sbagliato al momento sbagliato. La sua famiglia era italiana.

Lo torturarono perché italiano fino a crederlo morto. La moglie ed i suoi tre bambini finirono nelle foibe.

Quel giorno appresi come gli italiani morivano nelle foibe.

Venivano legati per le mani tra di loro e poi gettati nelle cavità del suolo.

Quindi dopo un salto di 30 o più metri coloro che avevano la fortuna di perire subito evitavano il tremendo supplizio di attendere agonizzanti che le cavità si riempissero d’acqua sino a soffocarli.

Non avevano via di scampo i pochi sopravvissuti al tremendo impatto perché erano legati al peso di coloro che l’urto con la roccia non aveva risparmiato.

Costantino non aveva bisogno di giornate della memoria, al contrario avrebbe voluto soltanto dimenticare e, povero disgraziato, non ci riusciva neanche per un istante.

In lui non c’era odio. Non c’era più nulla. Il suo corpo come la sua anima erano apparentemente svuotati.

Raccontavano quelli del posto che sembrava vivo ed i suoi occhi si inumidivano soltanto quando vedeva i bambini uscire da scuola.

Oggi più che mai mi viene in mente Costantino. Ecco perché mi permetto di chiedere al Presidente della Repubblica che rispetto come persona e come garante della Costituzione che venga nominato senatore a vita un Costantino delle Foibe.

Sarebbe il più grande gesto di pacificazione nazionale perché sancirebbe il rispetto universale per la sofferenza di tutti e quindi, la fine di una sofferenza sempre al centro dell’attenzione (giustamente) e di una sofferenza parimenti atroce ed ingiustamente dimenticata, o forse sarebbe meglio dire “scientemente occultata”.

Enrico Michetti


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