– Giudicatemi solo come fischietto – aveva detto Stéphanie Frappart alla vigilia della Supercoppa europea, che Liverpool e Chelsea si sono contese in un angolo d’Europa, o già d’Asia in un certo senso, dove peraltro si sapeva in partenza che il pubblico e la pubblica opinione del posto avrebbero provato quantomeno qualche imbarazzo nel vedere questa minuta ragazza francese districarsi in mezzo ai contrasti tra Fabinho e Pulisic o giudicare la posizione di partenza di Giroud o Firmino con l’ausilio delle sue assistenti Nicolosi e O’Neill, rivelatesi entrambe attentissime.

A Istanbul è accaduto esattamente questo, con buona pace di chi paventava (o si augurava?) una partita che sfuggisse di mano al direttore di gara.

La migliore testimonianza sono state le proteste, anche vibranti, che la Frappart ha dovuto fronteggiare, a cominciare da quando Azpilicueta ha avuto da ridire per il cartellino giallo: nessuna accortezza, nessun particolare imbarazzo nei suoi confronti.

Ma ora non fate l’errore di dire che i giocatori l’hanno trattata come un uomo.

La giusta espressione da utilizzare è: l’hanno trattata come un arbitro.

Quando ci verrà naturale questa espressione, allora, solo allora, saremo davvero oltre i distinguo e oltre i pregiudizi di ogni sorta; anche quelli positivi, che sono insensati allo stesso modo di quelli negativi.

A dire la verità, il fatto che abbiamo dedicato un articolo alla questione ci fa riflettere sul tratto di cammino che ancora c’è da fare verso una parità che non faccia più notizia.

Paolo Marcacci


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