Le cose nel calcio cambiano come il tempo a marzo: piove che Dio la manda e noi la prendiamo e un secondo dopo sudi per il sole. Al momento nella Roma calcistica grandina e di tutto ci sarebbe bisogno meno che del derby in dirittura d’arrivo.
Mancano due partite a testa, ma soltanto una settimana. E campionato e coppe sembrano mandare gli stessi segnali per Roma e Lazio: morbide, languide, quasi disinteressate. Il mondo è frenetico, va di corsa e loro osservano, distratte.

La Roma a Madrid è stata presa a schiaffi, tramortita, affondata e si è portata dietro tutti gli interrogativi che la circondano, così sintetizzabili: ma che mercato è stato fatto?
La Lazio si è ripresa con i risultati, ma il gioco, il ritmo, la condizione fisica, l’agonismo? I giocatori sono gli stessi, più o meno, e si sono aggiunte discrete riserve. Però non sono state cancellate le pause difensive e i big dell’anno scorso si riconoscono solo grazie a qualche foto.

Inzaghi viene criticato (e ci sta) per non cambiare mai, modulo e calciatori. Di Francesco viene criticato (e ci sta) per cambiare troppo, modulo e giocatori. Del primo si sa che non ha condiviso le operazioni di mercato. Del secondo nulla si conosce. Possiamo andare per intuizione: potrebbe mai aver avallato, anche in privato, l’addio alla Roma che fu? Intuizioni, non altro.

Il derby, tutto considerato, arriva a sproposito. Le squadre non lo vorrebbero, i tifosi pure. Ma poi, se riuscisse a svegliare almeno una delle due amiche ammalate? Allora forse avrebbe un senso. Il derby, come si diceva quando il calcio, ci piaceva di più, è uno spartiacque della stagione: chi vince vive meglio, chi perde si nasconde. E un pari? Un pari certifica la paura, che non fa novanta, ma “X”.