L’appello di Lisei sulla Comm. Covid ▷ “Evitiamo il tarallucci e vino, non sottovalutateci”

La discussione sulla Commissione parlamentare d’inchiesta sul Covid continua a muoversi su un crinale delicato: da un lato la richiesta, spesso emotiva, di sanzioni e punizioni; dall’altro la funzione istituzionale di uno strumento che non giudica, ma accerta. Nel confronto andato in onda a Un Giorno Speciale, emerge con chiarezza un punto dirimente: senza una verità formale, certificata dallo Stato, ogni richiesta di giustizia rischia di restare sospesa tra rabbia e sfiducia.

Il perimetro della Commissione

A chiarire i confini è il senatore Marco Lisei, presidente della Commissione Covid, che richiama con nettezza il quadro costituzionale: “La Commissione d’inchiesta non può mettere in galera nessuno, non può fare condanne penali o erariali: questo spetta ai magistrati”. Il suo compito, ribadisce, è un altro: “Far emergere la verità dei fatti”. Una verità che non assolve né condanna, ma che attribuisce responsabilità pubbliche e impedisce che tutto “finisca a tarallucci e vino”.

Verità contro vendetta

Su questo punto insiste anche Fabio Duranti, che invita a distinguere tra sete di punizione e funzione dello Stato: “Non è questa la sede delle manette. La Commissione serve a far emergere una verità ufficiale, certificata da uno strumento giuridico previsto dalla Costituzione”. Una verità che diventa patrimonio pubblico, utile tanto ai cittadini quanto alla giustizia ordinaria. “Chi vuole risarcimenti o condanne si rivolga alle procure. Criticare chi lavora per far emergere la verità non ha senso”, sottolinea.

Il peso giuridico degli atti

Lisei aggiunge un elemento spesso sottovalutato: “Molti verbali e molte evidenze emerse in Commissione Covid sono già finite nelle aule dei tribunali”. Dai procedimenti avviati dai familiari delle vittime di Bergamo ai casi dei medici sanzionati per non aver seguito il protocollo “tachipirina e vigile attesa”, il lavoro della Commissione può incidere concretamente: “Se emergono dati che dimostrano che quel protocollo era sbagliato, ciò può avere effetti decisivi nei processi e nelle radiazioni”.

Metodo, non capri espiatori

Lo sguardo si allarga con l’intervento del fotoreporter Giorgio Bianchi, che sposta il fuoco dalle persone al metodo: “Non è sotto esame l’individuo, ma il modello applicato. Le verità accertate dovrebbero diventare oggetto di dibattito pubblico, per evitare di ripetere gli stessi errori in futuro”. Una posizione condivisa dallo stesso Lisei, che individua due effetti del lavoro della Commissione: correggere gli errori in caso di nuove emergenze e indurre chi governa a un maggiore senso di responsabilità. Più duro Alberto Contri, che parla di “paradosso colossale” tra fatti che emergono e medici ancora perseguiti: “Siamo già dentro questa vergogna, non è qualcosa che deve ancora accadere”.