«Il nostro sogno è produrre farmaci per persone sane. Questo ci permetterebbe di vendere a chiunque.» Così Henry Gadsen, storico direttore generale della Merck & Co., commentò senza mezzi termini il business farmaceutico, offrendo una sintesi brutale degli interessi che, troppo spesso, muovono le grandi multinazionali. Sullo sfondo di scandali miliardari e tensioni tra le esigenze della salute pubblica e il profitto privato, i conflitti di interesse delle case farmaceutiche restano uno dei nodi irrisolti e più insidiosi della sanità moderna.

La vicenda del farmaco Avastin-Lucentis, con la maxi multa da 180 milioni inflitta dall’Antitrust a Novartis e Roche, rappresenta un caso emblematico: medici e dirigenti sottoposti a pressioni e incentivi per favorire terapie più costose, nonostante le evidenze analoghe sull’efficacia dei prodotti più economici. In Italia i rapporti consulenziali tra membri dei principali comitati scientifici e Big Pharma sono stati ampiamente documentati, con pagamenti e incarichi che sollevano seri interrogativi sulla reale autonomia delle decisioni pubbliche.
La gestione monopolistica dei vaccini Covid-19 da parte di Pfizer e Moderna è stata contestata da diverse organizzazioni internazionali, che hanno denunciato contratti opachi e prezzi gonfiati a danno dei sistemi sanitari pubblici. In altri casi, come lo scandalo GlaxoSmithKline in Cina, sono emerse vere e proprie tangenti pagate a burocrati e medici per promuovere l’uso di determinati farmaci, generando multe miliardarie.

In casa nostra

In Europa, EMA e AIFA hanno adottato nuove regole per prevenire conflitti d’interesse, imponendo la dichiarazione obbligatoria e, in alcuni casi, l’esclusione da procedure decisionali in caso di rapporti con aziende. In Italia, il Parlamento ha approvato una legge che prevede la pubblicazione delle transazioni tra case farmaceutiche e operatori sanitari, strumento fondamentale per una maggiore trasparenza, anche se la sua piena implementazione tarda ancora a concretizzarsi.

Un rischio sistemico

L’indipendenza della ricerca scientifica è messa a dura prova da strategie come il “disease mongering”: promuovere la medicalizzazione di sintomi minori per allargare il mercato dei medicinali, trasformando cittadini sani in pazienti. Questi meccanismi si traducono non solo in costi sociali e sanitari, ma in una perdita di fiducia nella trasparenza e imparzialità del sistema.

Il conflitto di interessi nel settore farmaceutico, come dimostrato da casi e regolamenti ufficiali, rappresenta un rischio sistemico per la tutela della salute pubblica. A Un Giorno Speciale ne abbiamo parlato con Giovanni Frajese, endocrinologo, e Alberto Contri, docente di comunicazione sociale.

Il commento integrale nel video.