
La gente come lui non molla mai.
La decisione della Corte di Cassazione sull’illegittimità del licenziamento di Stefano Puzzer rappresenta in qualche modo un punto di svolta nel dibattito sui diritti fondamentali dei lavoratori e sulle strategie di gestione dell’emergenza pandemica. Dopo una lunga battaglia legale iniziata nell’aprile 2022, la Suprema Corte ha riconosciuto la sproporzione del provvedimento disciplinare, stabilendo che la normativa vigente prevedeva la sospensione, non la cessazione del rapporto professionale. Restituita la dignità a chi rivendica la libertà di scelta e sottolinea la necessità di tutelare anche le istanze minoritarie in una democrazia.
In particolare, la Cassazione ha posto enfasi sulla proporzionalità della sanzione e sulla tutela dei diritti individuali, affermando che il licenziamento per la mancata esibizione del Green Pass, soprattutto in presenza di una guarigione certificata, risulta una misura eccessiva e infondata. Il verdetto annulla così la precedente decisione della Corte d’Appello di Trieste e rimette la questione al giudizio della Corte d’Appello di Venezia. Questo non solo potrà aprire la strada al reintegro lavorativo e a un possibile risarcimento, ma stabilisce anche un precedente giurisprudenziale a tutela delle libertà di coscienza e della correttezza delle prassi disciplinari.
“Voglio precisare una cosa”
Una rivincita anche dal punto di vista umano per Puzzer: “Ho fatto il pescatore, poi il lavapiatti e l’aiuto cuoco. Staccavo e di notte facevo il custode. Devo dire che fare il pescatore è un lavoro davvero duro. Il porto? E’ stato la mia vita e sarà la mia vita”, commenta da Fabio Duranti, “ma voglio precisare a quelli che lo pensano che ora non ho voglia solo di festeggiare. Questo è un punto di partenza, un inizio, per lottare per i nostri diritti e di chi ha avuto effetti avversi, finché i responsabili non pagheranno”.
E’ anche per questo che forse Puzzer è inviso alla stampa mainstream nostrana: conduce una battaglia da vaccinato per il solo principio e senza violenza: “Scrivono no vax? Non mi interessano questi nomignoli che mi danno. Sono una persona che afferma la propria libertà di fare quello che vuole del proprio corpo”.
La qualificazione “no vax” non corrisponde, in effetti, né alle convinzioni né alle motivazioni del diretto interessato, che si è sempre distinto per la difesa dei diritti lavorativi e della libertà vaccinale, anziché per il rifiuto della scienza o delle politiche sanitarie.
“E poi diciamo che qualche sassolino me lo sono tolto, visto che più di qualcuno mentre non avevo lavoro mi diceva che il mio nome era scomodo”.
Ma la guardia resta alta: la vicenda resta ora aperta presso la Corte d’Appello di Venezia, dove saranno valutati il reintegro effettivo di Puzzer e le eventuali ripercussioni patrimoniali. La sentenza della Cassazione, però, rappresenta già un monito: nessuna emergenza sanitaria può giustificare la compressione indiscriminata dei diritti individuali. E chi si batte per la libertà vaccinale trova ora una conferma chiara: la difesa della legalità, della dignità e della verità non passa per le etichette.









