La scienza fa mea culpa e lo scrive su Nature ▷ L’indagine assurda: “70% di studi non riproducibili”

Negli ultimi anni la parola scienza è entrata in maniera massiccia nel nostro quotidiano. Molti hanno cercato di arrogarsi il diritto di rappresentare la verità scientifica e soprattutto di imporci norme, regole, limitazioni, nel nome della fiducia nella scienza. La pandemia è stata il primo banco di prova per promuovere questa nuova “religione scientifica” che ora vuole essere riaffermata su temi come clima e guerre. Eppure già di per sé la fede nella scienza, anche a livello semantico, non ha molto senso, tanto più se deve essere padrona delle nostre libertà, come sostiene Fabio Duranti: “Quando qualcuno vi dice ‘fidatevi della scienza’ scappate a gambe levate, perché è un ossimoro. La scienza è tutt’altro che fiducia, la scienza è ricerca, metodo scientifico“.

A riprova di ciò: “La rivista scientifica Nature nel 2016 ha fatto un sondaggio tra 1576 scienziati per verificare la riproducibilità delle ricerche all’interno degli articoli pubblicati sulla stessa rivista. Più del 70% dei ricercatori ha tentato senza successo di riprodurre gli esperimenti degli altri. Ma non solo, più della metà degli scienziati non è riuscito a replicare i risultati dei suoi stessi esperimenti“. Quando poi si cerca di trasporre alcune teorie scientifiche, e particolarmente quando tali ricerche non vengono verificate, magari perché non vi sono nemmeno i tempi per una revisione sommaria, allora la questione diventa ancora più grave.

Un esempio viene citato dallo stesso Duranti: “L’errore che si fa continuamente è quello di voler imporre la teoria scientifica al comportamento del cittadino. Il cittadino è sottoposto alla strumentalizzazione politica della ricerca scientifica, non della verità scientifica. Siamo stati cavie per tre anni delle case farmaceutiche, oggi siamo oggetto delle teorie che hanno un fine economico, sul clima“.