“Imporremo le nostre condizioni”: riascoltiamo Draghi 3 anni dopo ▷ La reazione di Giorgio Bianchi

Nel 2022 Mario Draghi trasformò una conferenza stampa in una sorta di test morale collettivo: «Cosa preferiamo: la pace oppure stare tranquilli con l’aria condizionata accesa tutta l’estate?». A quella domanda secca, più che tecnica, fu affidata l’intera narrativa delle sanzioni contro la Russia: qualche grado in più in casa, in cambio della fine della guerra e di un colpo decisivo all’economia del Cremlino. Oggi, con il conflitto in Ucraina ancora aperto, un’Europa stremata da crisi energetica e inflazione, e una Russia lungi dall’essere crollata, quella frase torna indietro come un boomerang politico e simbolico.

Le parole di Draghi nel 2022

Nel pieno del dibattito su embargo energetico e sanzioni, Draghi presentò la scelta in modo drastico: accettare sacrifici sui prezzi dell’energia per “comprare” la pace e fermare la macchina bellica russa. Spiegò che le sanzioni avevano avuto un «effetto dirompente» sull’economia e sulla capacità militare di Mosca, indicando una Russia destinata a una contrazione marcata del PIL e a difficoltà nel produrre armamenti. In quel quadro, spegnere o alzare il condizionatore diventava il simbolo di un sacrificio “piccolo” a fronte di un obiettivo “alto”: pace in Europa e indebolimento strutturale del regime di Putin.

Sanzioni e realtà della guerra

A distanza di tempo, però, la guerra in Ucraina è tutt’altro che conclusa, il fronte resta instabile e non si è arrivati a nessuna pace negoziata degna di questo nome. Le sanzioni hanno senza dubbio colpito Mosca, ma non l’hanno fermata: la Russia ha riorientato parte dei suoi flussi energetici verso Asia e altri mercati, continuando a finanziare lo sforzo bellico e adattando la propria economia di guerra. L’idea implicita che “più sanzioni uguale pace” si è rivelata, nei fatti, molto più fragile di quanto lasciassero intendere le dichiarazioni del 2022, mentre Kiev continua a chiedere armi e sostegno perché il conflitto resta ad alta intensità.

Sul fronte interno, l’Europa ha conosciuto esplosioni dei prezzi dell’energia, misure emergenziali sui consumi e piani “termostato” che hanno reso il condizionatore un vero e proprio totem politico. Governi, incluso quello guidato da Draghi, sono stati costretti a varare decine di miliardi in sussidi per famiglie e imprese per contenere rincari e tensioni sociali, segno che il sacrificio non è stato affatto “piccolo” per una parte consistente della popolazione. Il risultato è una percezione diffusa di aver pagato un conto salato — bollette, inflazione, incertezza — senza vedere in cambio né pace né un chiaro ridimensionamento geopolitico della Russia.
Pace, retorica e condizionatore

Riletta oggi, la domanda «preferiamo la pace o il condizionatore acceso?» suona come una semplificazione brutale di un nodo molto più complesso: le sanzioni non sono state il grilletto magico della pace, ma uno strumento parziale dentro una strategia che non ha mai davvero chiarito l’obiettivo finale. L’uso di un’immagine quotidiana e quasi domestica ha funzionato sul piano comunicativo, ma finisce oggi per mettere in imbarazzo chi l’ha pronunciata, perché la realtà mostra un conflitto che continua, una Russia che resiste e cittadini europei che si sono trovati più poveri senza che il condizionatore spento portasse davvero la pace. Proprio qui sta la frizione più grande: non tra pace e aria fresca, ma tra promesse politiche ad effetto e una guerra che, ostinatamente, rifiuta di entrare nello schema rassicurante proposto nel 2022.

A Un Giorno Speciale abbiamo riascoltato le parole dell’ex premier con Giorgio Bianchi.