Uno strumento magari utile per la scuola, ma uscito malissimo nell’ultimo spot andato in onda.
Lo scopo era quello di presentare un’applicazione utile per la scuola, ma il risultato è stato quantomeno discutibile. “Papà, come si fanno le divisioni? Mi aiuti a fare i compiti?”, dice una bambina al padre all’inizio di uno spot andato di recente in diretta tv. Il padre, nel panico, sgrana gli occhi: è la rappresentazione perfetta del genitore moderno. La soluzione? Un’applicazione da dare al bambino, che può così svolgere i compiti con l’aiuto di un tablet. Come se non ce ne fossero già abbastanza a quell’età. Lo schema è sempre lo stesso: viene presentata come una “figata”, un progresso tecnologico! Poi il risultato è che non se ne può più fare a meno. In questo caso Iron Man direbbe: “Se non sei niente senza l’armatura, allora non dovresti averla”.
E’ quello che sta accadendo da molti anni ormai, e che sta esponenzialmente aumentando con l’avvento della cosiddetta “intelligenza artificiale“. Uno studio del MIT qualche mese fa ha fatto emergere risultati preoccupanti.
L’IA danneggia il cervello?
Non è una teoria cospirazionista. E’ una delle migliori università del mondo a sottolineare il “debito cognitivo” derivante dall’uso di un’IA quando si esegue un compito. In questo caso, si è osservato che il gruppo di controllo che rispetto agli altri due aveva adoperato l’intelligenza artificiale per la scrittura di un testo, ha mostrato una connettività cerebrale del 55% più bassa, ottenendo anche risultati peggiori. Una notizia che è rimbalzata, per fortuna, ovunque sul web. Dobbiamo allora chiederci se davvero questi nuovi strumenti ci possano “aiutare” a crescere, oppure se ci possano portare a un processo di reificazione di noi stessi.
L’analisi con Fabio Duranti, Giovanni Frajese e Alberto Contri.










