Il termometro sale, ma insieme a lui cresce qualcosa di meno misurabile: l’ansia da caldo. A ogni estate, la meteorologia si trasforma in spettacolo catastrofista, e l’informazione sembra preferire l’iperventilazione all’analisi. È in questo contesto che si inserisce la voce controcorrente del colonnello Mario Giuliacci, che invita a distinguere tra realtà atmosferica e retorica dell’emergenza.

Numeri e percezioni: i due climi dell’estate

L’Italia è calda, ma non è l’inferno. I 50 gradi evocati da certi titoli non si sono mai davvero visti, se non in contesti isolati e localizzati, eppure il numero continua a circolare. “La gente soffre della sindrome da precipizio”, osserva Giuliacci, descrivendo il bisogno compulsivo di conferme catastrofiche. In gioco c’è un meccanismo psicologico noto: l’aspettativa intensifica la percezione. Più si teme il caldo, più lo si vive come insopportabile. E l’informazione, alimentando l’attesa del peggio, contribuisce direttamente a peggiorare l’esperienza soggettiva delle temperature.

Emergenza vendibile, realtà silenziata

La tragedia di cinque bagnanti morti in Salento, attribuita da alcuni media all’“emergenza caldo”, è un caso esemplare. Nessuna correlazione certa con le alte temperature, eppure il nesso è diventato titolazione. “Sono morti affogati, ma si insinua che li abbia uccisi il caldo”, chiarisce Stefano Molinari. Il problema non è solo etico, è sistemico: la drammatizzazione vende. È così che anche il termine “record” viene abusato, svuotato della sua definizione scientifica. “Un record è ciò che non si è mai verificato. Usarlo per ogni ondata di caldo è un errore”, sottolinea il colonnello Giuliacci.

La grammatica dell’apocalisse

Dall’epoca del Covid ci siamo portati dietro una grammatica dell’emergenza: picchi, ondate, bollettini, lockdown. Applicata al meteo, produce una distorsione grave. “Abbiamo visto estati peggiori, ma ogni anno sembra il peggiore di sempre”, dice Giuliacci. E non è solo un problema di memoria: è una questione di comunicazione. L’iperbole continua fa perdere forza anche alle denunce legittime sui trend climatici reali. Perché quando tutto è emergenza, niente lo è davvero.

Il gusto dell’esagerazione

Il clima è cambiato, ma anche l’informazione sul clima. In un contesto in cui l’attenzione è moneta, vince chi urla più forte. Giuliacci non nasconde il disagio di chi prova a fare meteorologia con sobrietà: “La gente cerca la notizia che fa più paura. Io, in questo allarmismo, sono una vittima”. Non si tratta di negare l’esistenza del riscaldamento globale, ma di evitare che venga raccontato con gli stessi strumenti del clickbait. Serve un nuovo patto tra scienza e giornalismo, che metta la lucidità al centro del racconto climatico.