Nella notte tra il 21 e il 22 giugno, gli Stati Uniti hanno lanciato un attacco militare contro l’Iran, colpendo e distruggendo tre dei principali impianti nucleari del paese: Fordow, Natanz e Isfahan. L’azione, condotta con bombardieri stealth B-2 e missili da crociera lanciati da sottomarini nel Golfo Persico, è stata definita dalla Casa Bianca un “intervento mirato e necessario per neutralizzare la minaccia nucleare iraniana”.
Secondo quanto dichiarato da Donald Trump, tornato al potere da pochi mesi, l’operazione ha avuto ‘successo totale’ e avrebbe ‘completamente obliterato’ le capacità nucleari sotterranee dell’Iran. I tre impianti (considerati tra i più protetti e strategici del programma atomico iraniano) sarebbero ora fuori uso.
La risposta iraniana
Poche ore dopo l’attacco, l’Iran ha risposto lanciando missili balistici verso Israele, colpendo alcune aree a nord di Tel Aviv. L’esercito israeliano ha reagito immediatamente, bombardando obiettivi militari iraniani lungo il confine occidentale del Paese. L’escalation ha acceso l’allarme nella comunità internazionale: si teme un rapido allargamento del conflitto in Medio Oriente.
Il governo iraniano ha definito l’attacco statunitense un ‘atto di guerra’ e ha annunciato che ‘la vendetta sarà dura e proporzionata’. Nel frattempo, il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite è stato convocato d’urgenza per valutare la situazione e cercare di evitare un’escalation incontrollata.
Reazioni internazionali
Le reazioni globali sono state contrastanti. Israele ha applaudito l’intervento definendolo ‘un passo necessario per la sicurezza regionale’. Al contrario, l’Unione Europea, Russia e Cina hanno espresso preoccupazione, invitando alla moderazione e al ritorno della diplomazia. Negli Stati Uniti, l’attacco ha suscitato anche polemiche interne: molti membri del Congresso hanno criticato l’azione unilaterale di Trump, sottolineando che non vi è stata alcuna autorizzazione parlamentare per un’operazione militare di tale portata.