Da quando il 28 maggio 2017, esattamente 8 anni fa, Francesco Totti ha calciato il suo ultimo pallone da calciatore e capitano della Roma, ogni appassionato di calcio non è stato più lo stesso. Davanti allo schermo, così come sul seggiolino allo stadio: ci siamo scoperti tutti più aridi, ma soprattutto orfani.
No, questa non è retorica. E nemmeno una questione di tifo, ma un semplice dato di fatto. Questo sport, infatti, è forse l’unico vero retaggio di un simbolismo identitario, e di un senso di appartenenza, che sono ormai figli di un’altra epoca. Ed è in questo che risiede la magia del calcio: una disciplina che, non a caso, l’antropologo francese Marc Augé ha definito come una “religione laica“.
In quanto tale, essa si compone di templi (gli stadi), dell’appartenenza a una comunità (la tifoseria), dei suoi specifici valori (una dottrina) e ovviamente di divinità (le leggende che hanno segnato la storia di questo sport). Senza voler essere in alcun modo blasfemi, si può dire senza esitazioni che Francesco Totti è stato uno degli ultimi dèi “terreni” e romantici del football italiano. Ciò vale a prescindere dalla squadra che ognuno possa preferire.
Infatti, se è normale immaginare l’impatto che il Capitano può aver avuto per la Capitale e la sua gente, dall’altra parte non è sbagliato parlare di ‘nostalgia canaglia‘ anche per tutti i tifosi di quelle squadre che, a ragione, possono definirlo l’ultimo vero grande antagonista ascrivibile all’aura della mitologia calcistica.
Totti, non solo Roma: dal 1993 al 2017, ci siamo cresciuti tutti insieme
Perché è vero: Totti è stato il simbolo assoluto di Roma e della Roma; un baluardo concettuale e simbolico di una portata universale, a cui i tifosi si sono aggrappati con orgoglio, soprattutto nei momenti più difficili.
Ma è altrettanto vero che, in un calcio sempre più asettico come quello attuale (quello delle aspiranti ‘Superleghe‘), anche per i non/anti-romanisti il ritiro del Pupone ha rappresentato inesorabilmente la fine di un’era.
Quel Roma-Genoa del lontano maggio 2017, una delle ultime icone della versione più romantica e sincera di questo sport, ha appeso gli scarpini al chiodo, lasciandoci tutti più soli. E sì, anche orfani: della sua classe, del suo genio calcistico, e di tutto ciò che rappresentava; cioè tutti quei valori che nel calcio di oggi (e non solo) sono sempre più rari.
Le lacrime di chi, quel giorno, si è commosso davanti alle immagini di quella cerimonia sono gli odierni sospiri nostalgici di chi, ripensandoci, disegna un sorriso dolceamaro sul viso. Nella piena consapevolezza che con Totti e la sua storia, chi più chi meno, ci siamo cresciuti tutti.
Da adolescenti sognatori, siamo diventati adulti disillusi. I figli sono diventati padri; i padri sono diventati nonni. E come quando si ricorda con dolcezza un vecchio amico d’infanzia, oggi è bello omaggiare l’ultimo simbolo romantico del calcio che ci ha fatto innamorare: quel calcio che, in qualità di “cosa più importante fra le meno importanti“, ha sempre scandito (e continuerà a scandire) ogni giorno della nostra vita.