È una di quelle partite delle quali capisci che il destino lo deciderà un battito d’ali di farfalla che provoca un terremoto nel tabellino del risultato. Da una parte, dove l’Inter manca troppe volte l’azione decisiva per il 3 – 0, dopo aver ampiamente meritato il doppio vantaggio; dall’altra, dove il Barcellona si riprende prima il pallone, poi i tempi di gioco, infine i due gol, belli per la finalizzazione ma meno pregiati della costruzione dalla quale scaturiscono.
Capitolo Yamal: il pubblico di San Siro soffre al cospetto di un’estetica diabolica, che a ogni accelerazione della fiamma bionda potrebbe uccidere i sogni nerazzurri.
Il 2 – 3 Raphinha lo deposita alla sinistra di Sommer con un bacio al palo sottile come le lacrime che rigano qualche primo piano sugli spalti, e anche un po’ più giù, dove chi s’era sentito finalista lascia che il cuore quasi affondi nei Navigli. Quasi, prima che Acerbi diventi…Lautaro, con il secondo 3 – 3 tra due squadre che in 180′ si sono colpite a raffica come amanti masochisti.
Supplementari di cuore e acido lattico, ricerca della lucidità e le consuete proteste di Flick, petulante al punto tale che gli spettatori delle file sopra la sua panchina iniziano a rimpiangere le proprie suocere. L’Inter e la sua gente si domandano a vicenda fiducia e conforto, con la pioggia insistente che si sovrappone al battito dei cuori.
Come il Barcellona s’era preso il pallone, così l’Inter si prende il vantaggio, con il sinistro di Frattesi lucidato dal temporale, preparato da Thuram, rifinito da Taremi. Poi, anche se le gocce insistenti non spengono la fiamma di Yamal, Barella e compagni se lo fanno bastare, avvolti da una gratitudine che ha qualcosa di nuovo e di antico, come le due finali che legano Simone Inzaghi a Helenio Herrera, anche perché nel finale il destino mette i guanti, e tira le Sommer.
Paolo Marcacci