Magi: “Il fantasma? Citavo Pannella perché il referendum è un’emergenza”

Durante il question time del 14 maggio 2025, alla Camera dei deputati, è successo qualcosa di decisamente fuori dal comune. Il deputato di +Europa, Riccardo Magi, si è presentato in aula travestito da fantasma: un gesto clamoroso e teatrale, pensato per denunciare il presunto silenzio del governo guidato da Giorgia Meloni sui referendum abrogativi in programma per l’8 e 9 giugno, in particolare quelli su cittadinanza e lavoro.

Per Magi, non c’è alcun dubbio: l’invito all’astensione da parte della maggioranza è un modo per boicottare la partecipazione dei cittadini. Il suo travestimento, volutamente provocatorio, ha voluto riportare l’attenzione sull’importanza del voto e sulla necessità di un vero confronto pubblico. Non è un caso che l’azione richiami quella, ormai storica, di Marco Pannella, che nel 1997 si presentò da “fantasma della democrazia” per protestare contro l’indifferenza istituzionale su un altro referendum.

Questa volta, però, la protesta non è passata inosservata: tra sguardi sbigottiti e qualche applauso isolato, Magi è stato infine espulso dall’Aula dal presidente Lorenzo Fontana. Ma l’eco del suo gesto continua a far discutere — dentro e fuori Montecitorio.

In diretta su “LAVORI IN CORSO”, con Stefano Molinari, il deputato di +Europa ha raccontato nel dettaglio le ragioni del suo gesto, evidenziando come a prescindere dall’appartenenza politica, la mancata partecipazione e consapevolezza rispetto a un referendum non è mai un buon segno per la democrazia.

Referendum, Magi: “Il fantasma? Una denuncia del silenzio di chi predica la sacralità del potere popolare solo quando fa comodo”

Il mio gesto si tratta di una citazione di Marco Pannella, che nel 1997 si presentò vestito da fantasma a una tribuna elettorale referendaria, proprio per denunciare il fantasma del referendum e della democrazia. È un’iniziativa non violenta, che quindi è assolutamente legittima, ma che al contempo denuncia una situazione grave. Infatti, attualmente ci sono dei referendum convocati, il Presidente della Repubblica li ha indetti con un suo decreto per l’8 e 9 giugno. Tuttavia, se chiediamo per strada ai cittadini: ‘Voi che voterete l’8 e 9 giugno?’, la maggior parte risponde: ‘Perché, si vota?’. Questo significa che è matematicamente certo che non ci sarà il quorum, perché se il quorum è fissato al 50% più uno, è evidente che dovrebbero andare a votare tutti coloro che sanno dell’esistenza del referendum.

Questo è un problema che, secondo noi, va affrontato prima di parlare del o del no. È un vero e proprio problema della democrazia, ovvero che i cittadini sappiano che esiste una possibilità di voto che, attenzione, non è un voto di delega.

Infatti, la bellezza del voto referendario è che non si delega a nessuno, non si delega a un partito. Magari non c’è nessun partito che ci rappresenta, nessuno che rispecchia le nostre idee, ma è il cittadino stesso a dire: ‘Questa legge mi piace, questa legge non mi piace, voglio cambiarla’. Questo è il punto fondamentale. Quando alcune delle massime cariche istituzionali invitano all’astensione, a me fa veramente paura, perché sono proprio gli stessi che ci dicono che la volontà popolare è centrale e diretta, che bisogna eleggere direttamente il Presidente del Consiglio. Qui c’è qualcosa che non va“.

ASCOLTA L’INTERVENTO INTEGRALE SU “LAVORI IN CORSO” – CON STEFANO MOLINARI