Secondo la Banca Centrale Europea, l’Italia potrebbe ottenere un incremento permanente del PIL fino all’1,9%, utilizzando efficacemente il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR) e, più in generale, i fondi del Next Generation EU.
Nello scenario più favorevole, l’impatto massimo sul PIL si raggiungerebbe entro il 2031. Senza questi investimenti, invece, il PIL rimarrebbe stabile. Il piano del Next Generation EU, con una dotazione complessiva di circa 800 miliardi di euro, include 650 miliardi già assegnati, suddivisi in 312 miliardi di prestiti e 338 miliardi di sovvenzioni.
L’Italia ha ricevuto una quota pari a 191 miliardi di euro, di cui circa 122 miliardi come prestiti e 69 miliardi come sovvenzioni, rappresentando circa il 28% del totale del fondo. Tuttavia, gli economisti della BCE sottolineano che l’effettivo raggiungimento di questi obiettivi dipenderà dal miglioramento della produttività e dalla capacità di utilizzare in modo efficace tali fondi.
È importante notare che dietro alle “riforme” spesso richieste si cela, di fatto, l’adozione di misure che possono apparire come sacrifici o compromessi per i cittadini. La questione cruciale rimane la capacità dell’Italia di attuare concretamente queste riforme entro il 2026 per garantire risultati duraturi.
Va ricordato che l’Italia, insieme alla Spagna, guida per volumi di fondi assegnati, ma ciò implica una responsabilità significativa nell’attuazione delle misure richieste dall’Unione Europea. Tuttavia, il vero problema, spesso trascurato, è che questi fondi non sono un dono: si tratta di risorse che provengono dai contributi dei cittadini e delle imprese italiane.
In altre parole, sono soldi che sono stati “drenati” dalle nostre fabbriche e famiglie e affidati a burocrati, che poi decidono come e quando tali risorse debbano essere reimpiegate. Inoltre, molti di questi fondi sono prestiti che lo Stato italiano è chiamato a garantire e restituire, con un onere che grava sulla collettività.
La critica maggiore riguarda il funzionamento della BCE, che, a differenza del passato, non crea denaro nell’interesse dei cittadini, ma segue politiche che favoriscono un sistema finanziario internazionale. Questo porta molti a percepire le comunicazioni ufficiali come un linguaggio di regime, lontano dalle reali esigenze di cittadini e imprenditori.
In conclusione, resta fondamentale l’impegno delle istituzioni e degli imprenditori per promuovere un’economia più umanistica e realmente vicina ai bisogni delle persone.
Malvezzi Quotidiani – L’economia umanistica spiegata bene con Valerio Malvezzi