Cento miliardi per Kiev. Leggendo online il virgolettato di una giornalista russofona, viene spontaneo a chi non fa parte dell’alta borghesia farsi la medesima domanda: “Chi lo ha chiesto al popolo?”.
E in effetti le decisioni sulla guerra in Ucraina paiono da tempo, forse dall’inizio, ignorare del tutto la volontà popolare. Non che questa sia sempre la stella polare da seguire: per uno come Jean Jacques Rousseau il popolo deve essere interpellato, ma guidato nei – rari – momenti in cui la sua volontà non coincidesse con il suo bene.
E di bene al popolo europeo questa guerra non ne sta facendo. Non alle tasche, che ora il capo della NATO vorrebbe vuotare un po’ di più in vista di una resa ucraina che pare sempre più probabile non secondo fonti vicine al Cremlino, ma secondo caporali dell’esercito di Zelensky.

Alcuni vertici delle forze belliche ucraine sostengono infatti che al prossimo attacco massivo dei russi, la difesa della capitale potrebbe crollare. Si vocifera che possa verificarsi ad agosto, ed è anche per questo che Zelensky ha approvato (con mano ferma) una legge impopolare che abbassa l’età di arruolamento dai 27 ai 25 anni.
Perché il problema non sono più solo le armi, ma anche gli uomini. Gli ucraini sono stremati e disincantati dopo due anni di guerra. La popolazione ha fatto l’abitudine a una realtà bellica che persiste, e quando si tocca con mano questa realtà, gli slogan e le ideologie crollano sotto i missili russi. Russi per cui potrebbe valere lo stesso discorso, ma ricordiamoci che contano di riserve in Patria in numero oltremodo superiore.

Così superiore che alcuni ufficiali ucraini hanno dichiarato al quotidiano statunitense Politico l’impossibilità, con qualunque mezzo da parte dell’Occidente, di contrastare efficacemente le forze russe: “Non c’è nulla che possa aiutare l’Ucraina adesso, perché non esistono tecnologie serie in grado di compensare l’Ucraina per la grande massa di truppe che la Russia probabilmente scaglierà contro di noi. Noi non disponiamo di queste tecnologie, e anche l’Occidente non le possiede in numero sufficiente“.
A fronte di tali dichiarazioni il piano quinquennale da 100 miliardi proposto dal capo della NATO Stoltenberg parrebbe purtroppo non solo di scarsa utilità, ma potenzialmente dannoso per i contribuenti.

Nonostante ciò i vertici di diversi paesi europei hanno già dato il loro assenso. La Germania ha definito il piano, tramite il suo ministro degli Esteri, “giusto e importante“, ma c’è chi nicchia di fronte a una proposta, l’ennesima, di chiedere un ulteriore sforzo alle tasche degli elettori: un dettaglio importante, visto che il finanziamento dovrà essere approvato il prossimo luglio da tutti e 32 i membri dell’alleanza Atlantica.
Quali sarebbero dunque i paesi perplessi?
I più scettici nei toni paiono al momento soprattutto Spagna, Italia e Ungheria. Russofili? Filoputiniani? Odiatori della democrazia?
Non proprio le deduzioni più adatte, se si vanno a vedere i numeri.

Con ogni probabilità infatti una decisione di tale portata non solo influirà sui portafogli, ma anche sugli umori di chi, prima o poi, tornerà al voto.

E andando a guardare la crescita dei salari delle popolazioni europee, c’è un dato che non può non risaltare all’occhio: sono proprio Spagna e Italia gli unici paesi del sud Europa fanalini di coda tra quelli che hanno aumentato i compensi salariali nel 2022 (entro metà anno arriveranno i dati Eurostat sul 2023).
Con un 2,3% di crescita dei compensi orari, l’Italia registra uno dei peggiori risultati dell’eurozona, seguendo la Spagna (+3%) di sole due posizioni. Discorso a parte per l’Ungheria (+16,4%), che invece è il paese con il risultato migliore.
La differenza tra ideologia e sussistenza.