L’orribile omicidio Tramontano diventa ideologia: tirano dentro pure la famiglia tradizionale!

L’orribile omicidio ai danni della povera Giulia e del bimbo che ella recava in grembo ha generato, come prevedibile, un vivacissimo dibattito presso l’opinione pubblica italiana. Un vivacissimo dibattito in cui, invero, il giudizio di condanna unanime è stato quello indubbiamente predominante. Eppure i padroni del discorso hanno immancabilmente provato a fare un uso ideologico di questa tragica vicenda e lo hanno fatto tirando in ballo quasi ossessivamente la categoria di femminicidio, non di rado lasciando intendere che l’assassinio orrendo ai danni di Giulia sia in qualche modo da connettersi con l’innata violenza maschile e con la sua manifestazione più radicale, quella che fortunatamente non affiora in ogni uomo, ma in ogni uomo è comunque latente. Questa l’idea generale che è stata veicolata a tambur battente. Addirittura qualcuno ha tirato in ballo il concetto di famiglia e ha sostenuto che l’efferata uccisione di Giulia deve essere intesa come l’esito non così implausibile del concetto stesso di famiglia tradizionale.

Ora, poiché si tratta di tesi ampiamente criticabili, mi permetterò di svolgere alcune pur celeri considerazioni.
Anzitutto, l’uomo che ha ucciso Giulia non è affatto rappresentativo dell’intera categoria maschile, ma è appunto un caso isolato che come tale deve essere giudicato e naturalmente condannato inappellabilmente. Aristotele diceva che non si dà scienza del caso particolare, la scienza vale solo per l’universale. E se così possiamo dire ragionevolmente che tutti gli uomini sono mortali, secondo l’esempio addotto dallo stesso Aristotele, non analogamente possiamo dire che tutti gli uomini sono assassini. L’essere assassino è un supremo costo, direbbe Aristotele, un accidente, qualcosa che può accadere, ma che non riguarda il concetto stesso di uomo, come l’essere mortali.

Sulle orme di Aristotele, i filosofi medievali hanno ribadito questa tesi. E proprio per questo non è possibile in alcun modo universalizzare il caso dell’assassino di Giulia, pretendendo di trasformarlo in emblema dell’intera categoria maschile. Come se tutti gli uomini, ossia gli individui di sesso maschile, fossero, proprio come sono mortali, anche assassini.
Salvo errore, la massima parte dei maschi italiani è in prima linea oggi nel condannare quello efferato omicidio e non certo nel sostenere le peraltro inesistenti ragioni dell’assassino. L’ordine del discorso dominante ne approfitta una volta di più, per usare questa vicenda deplorevole, con un fine assai preciso: puntare il dito contro la categoria del maschio in quanto tale, presentato appunto come intrinseco, violento.

Come ho cercato di evidenziare nel mio studio “Il Nuovo ordine erotico”, il vecchio capitalismo borghese era maschilista, quasi sempre in forme volgari e deprecabili, laddove il nuovo turbocapitalismo post borghese del consumismo assoluto ha superato il maschilismo e, anzi, cerca di superare la figura stessa del maschio a beneficio dell’individuo unisex realizzato e post eroico, resiliente e passivo. Non si trascuri a questo riguardo il fatto che la società post eroica del turbocapitalismo praticante non conosce eroi ma solo vittime. Ha innalzato la vittima a unica figura di eroe riconosciuto per definizione. La vittima è chi ha subito qualcosa, non chi ha compiuto gesta eroiche.

La figura della vittima fa sistema con quella della resilienza, che è la virtù stoica di chi sopporta il mondo adattandosi in ogni contesto anziché battersi per trasformarlo. La società realizzata del turbocapitalismo cerca di liquidare integralmente la figura del maschio e del padre, come se esse integralmente, segretamente, coincidessero con l’orrendo maschilismo che porta all’omicidio della donna. Se è giusto e sacrosanto superare il maschilismo, mi pare un errore imperdonabile pretendere di delegittimare la figura del maschio e del padre in quanto tali. La società di consumo ‘merciforme’ non conosce padri, ma solo consumatori senza legge. E ciò nel trionfo della deregolamentazione sia economica sia antropologica. Per questa cagione l’orrendo assassinio compiuto da Impagnatiello di cui tanto si discute in questi giorni, viene troppo spesso utilizzato in queste ore come arma contro la categoria dei maschi. In ciò svolge una parte ideologica non trascurabile la categoria di femminicidio, categoria che lascia nemmeno troppo obliquamente intendere come i maschi, in quanto tali, siano indotti all’uccisione delle donne.

L’assassinio delle donne da parte degli uomini è un gesto orrendo e ovviamente condannabile incondizionatamente. Ma l’idea stessa che si debba coniare un termine ad hoc come quello di femminicidio per connotare l’omicidio risulta un’operazione intrinsecamente ideologica, il cui fine sta appunto nella malcelata volontà di delegittimare in toto la categoria dei maschi. Una volta di più, la lotta di classe tra alto e basso viene offuscata dalla narrazione ideologica dominante in una realtà inesistente, quella della lotta orizzontale tra maschi e femmine.

RadioAttività – Lampi del pensiero quotidiano, con Diego Fusaro