La riforma UE sulla casa green ci dimostra in cosa veramente vogliono trasformarci

E infine è giunto il via libera da parte del Parlamento dell’Unione Europea in relazione all’adeguamento delle case dei cittadini europei ai nuovi parametri ambientali, ciò che viene detto con formula vagamente orwelliana, “efficientamento energetico”.
Se ne era discusso ampiamente già in passato, quando si trattava ancora di un’ipotesi tutta da verificare.
Ebbene, adesso quell’ipotesi è divenuta realtà, dacché il Parlamento dell’Unione Europea si è espresso a favore di questa norma, la quale prevede che entro il 2033 i cittadini UE dovranno adeguarsi alle nuove norme relative alle abitazioni.
In sostanza, queste dovranno essere aggiornate e messe a norma a ciò che rispettino quelli che l’Europa ha stabilito essere i parametri per il rispetto dell’ambiente.

In particolare si parla così, leggo su Il Messaggero, di “un adeguamento per tutti alla classe D“.
Detto altrimenti, l’Unione Europea decide che dobbiamo aggiornare la nostra casa e poi, naturalmente, non ci dà alcun contributo perché possiamo farlo. Ci impone cosa fare e poi ci costringe a farlo, costi quel che costi.
Letteralmente.
Perché proprio questo è il punctum dolens della questione.
Che fare al cospetto di cittadini che magari non potranno, per le ragioni più diverse, compiere l’aggiornamento richiesto dall’Unione Europea? Che fare quando non si è nelle condizioni economiche di effettuare aggiornamenti ambientali della propria dimora che evidentemente hanno dei costi e nemmeno troppo contenuti?

Che dovrà fare il cittadino che avendo una casa di proprietà, non dispone poi dei fondi necessari per poter fare l’aggiornamento richiesto e anzi imposto da Bruxelles in relazione alla questione ambientale?
Due sembrano essere le ipotesi, entrambe inquietanti e peraltro interconnesse.

La prima ipotesi è che il cittadino europeo, per poter compiere l’adeguamento richiesto, dovrà indebitarsi con mutui e con prestiti.
E ciò va perfettamente in linea con una delle tendenze generali del globale capitalismo, che è quella della produzione di una nuova soggettività, quella dell’homo indebitato, cioè dello schiavo ideale.
La schiavitù del debito è la principale forma di schiavitù per individui e popoli nel tardo capitalismo.

La seconda ipotesi, non del tutto dissimile dalla prima, è che il cittadino, non potendo per ragioni economiche compiere l’aggiornamento richiesto e non potendo o non volendo contrarre debiti, sarà eo ipso costretto a vendere, o meglio a svendere a quel punto la propria abitazione, perché non è difficile immaginare come si sarà costretti a farlo.
Crollerà verticalmente il prezzo delle abitazioni in quel contesto in cui tutti saranno o molti saranno costretti a vendere, e quindi il capitale vince due volte.

Nel primo caso, dacché produce individui indebitati, come dicevamo, e nel secondo, poiché porta via i beni ai cittadini, produce una sorta di esproprio delle abitazioni. Si va dunque verso una società ancor più orwelliana di quella che già stiamo vivendo, una società nella quale si realizza peraltro uno dei punti chiave dell’agenda di Davos, che ricorderete bene: 2030, non posseggo più nulla e sono felice.
Ecco, questo è lo scenario fondamentale: l’esproprio forzato dei cittadini e della loro dimora per produrre la nuova soggettività che è quella dell’uomo indebitato, che è quella dell’homo migrans, del soggetto sradicato, senza più una famiglia e un posto fisso, senza più una comunità e una tradizione e nemmeno più con un tetto fisso sulla testa.

Il soggetto, nel tardo capitalismo, deve essere disponibile per la volatilità dei capitali e per il movimento richiesto dalla produzione just in time. Deve essere un soggetto dinamico, errante, sempre mobile nell’open spaces del mercato globale.
Ecco perché non deve più avere famiglia.
Ecco perché non deve nemmeno più avere la casa.
E tutto questo rientra pienamente nella logica illogica della valorizzazione del turbo capitalismo sans frontières.

RadioAttività – Lampi del pensiero quotidiano con Diego Fusaro