Più alta è la posta in palio, più la tensione mette a rischio rapporti consolidati, se ci si trova sui lati opposti della barricata, vale a dire se ci si sta contendendo qualcosa di importante. O di epocale, come è stato per due compagni di club, più o meno amici, come Messi e Mbappé nella finale dello scorso 18 dicembre. Gol e “pugnetti” reciproci, rivolti al compagno che nella fattispecie era avversario, li abbiamo visti tutti. Potremmo definirlo un mix di tensione e competitività, elevatissime, mescolate alla ovvia confidenza che in casi come questi diviene una variante impazzita, proprio perché da una parte giustifica determinate provocazioni, dall’altra è proprio l’elemento che può far degenerare gli episodi. Sin dal rigore di Messi che aveva siglato l’1-0, non era mancata la ripresa dell’immancabile smartphone clandestino che aveva colto l’esultanza diretta verso Mbappé e quest’ultimo che con la proverbiale scelta di tempo si girava per evitare gesto e sguardo. In occasione dello spettacolare 2-2 del francese stesso siparietto, ma a parti invertite. Il tutto accompagnato dal retro pensiero dei rapporti tra star in seno al PSG: forte legame Messi – Neymar, Mbappé il francofono al di fuori del cerchio magico della parte di spogliatoio che parla spagnolo o portoghese. Molto amico di Hakimi, come ha mostrato anche il post – partita di Francia – Marocco. Per correttezza di informazione, se così la si può chiamare, i video vanno integrati con quello girato durante la premiazione, con il lungo abbraccio che rappresenta un terreno comune tra congratulazioni e consolazioni. Stemperate le tensioni e assegnata la posta in palio, torna il rispetto dei rapporti e della forma. 

La memoria corre, per trovare un precedente simile tra big avversari in Nazionale e compagni in un grande club, al precedente tra Rooney e Ronaldo del 2006, con l’espulsione dell’inglese “stimolata” per così dire dal portoghese, suo compagno allo United, dopo il pestone di Rooney a Carvalho. In quel caso l’occhiolino di Ronaldo ebbe una valenza particolarmente provocatoria, maliziosa, furbesca. 

È interessante ricordare la ricostruzione di Rooney, lucida e circostanziata: “Avevo in mano il telefono e mi arrivavano tantissimi messaggi su Ronaldo. Ovviamente quando è arrivato lì dall’arbitro per chiedergli di espellermi, io l’ho spinto via. E in quel momento non riuscivo a credere a quello che stava facendo. Poi però mi sono messo nei suoi panni, probabilmente avrei fatto lo stesso. Se il rosso fosse stato meritato e ci avesse aiutato a vincere, certo che lo avrei fatto. Lo farei anche ora. E ho pensato che comunque ho cercato di farlo ammonire per simulazione nel primo tempo. Per quello che riguarda l’occhiolino, non ci ho visto niente di strano. Quindi mi sono calmato e dopo l’ho cercato nel tunnel. Sentivo che era importante parlarci mentre la cosa era ancora fresca e dovevo farlo faccia a faccia. Mi ha guardato come per chiedermi scusa, ma io pensavo già allo United. Gli ho detto che non avevo problemi con lui. ‘Goditi il torneo e buona fortuna. Ci vediamo tra qualche settimana e cerchiamo di vincere il campionato'”.

Qual è, ammesso che ci debba essere, il bilancio “morale” quando la tensione genera episodi del genere tra compagni? Potremmo ricorrere alla filosofia, quella di Hobbes in particolare, che attingendo alla massima secolare “Homo homini lupus est”, precisava la questione nel distinguo  tra l’atteggiamento di uomini che hanno una causa in comune e quello di uomini che si contendono un medesimo obiettivoNell’uno c’è qualche analogia di similitudine con la Divinità, cioè la Giustizia e la Carità, sorelle gemelle della pace; nell’altro, inganno e violenza“. O qualche piccola provocazione, sotto lo scintillio impassibile di una Coppa del Mondo. 

Paolo Marcacci