Nel suo discorso alla Camera, il Presidente del Consiglio Giorgia Meloni ha citato, in un passaggio, il suo disprezzo per le “infami” leggi razziali varate dal regime fascista nel 1938. Un passaggio, peraltro, su cui è imperniato anche il discorso al Senato di Liliana Segre. Sul punto, molti intellettuali si sono interrogati: perché, allora, oggi si avallano discriminazioni basate su parametri medico-scientifici? Fra questi, spicca la voce di Diego Fusaro. “Per un verso ascoltiamo un meraviglioso discorso, in cui si ricordano gli orrori prodotti dalla discriminazione razziale e politica messa in atto dal fascismo”, spiega il filosofo. “Una discriminazione in cui, senza la tessera del partito fascista, non potevi lavorare e partecipare alla vita pubblica. Tale fattispecie va ricordata e ne va tenuta viva la memoria, ma tale memoria deve essere maestra e non fine a se stessa. Oltre a ricordare le vittime degli orrori, a tale orrore va impedito di rigenerarsi e, se torna a incarnarsi nella storia, va combattuto“.

A colpire il filosofo, in particolare, quella che lui definisce una sorta di ‘dissonanza cognitiva’, in cui l’Italia sembra sospesa: “Da una parte ricordiamo tali orrori, dall’altra ignoriamo il loro ritorno nel presente, li assecondiamo e li applichiamo nell’atto stesso con cui ricordiamo il passato senza tradurre in prassi operativa la memoria. Sul piano logico, se partiamo dal presupposto che discriminare gli esseri umani è sbagliato sul piano razziale, politico e delle idee, la discriminazione non potrà essere accettata se giustificata dal contesto medico e scientifico“.

Peraltro, secondo Fusaro, nulla di nuovo. “Anche l‘infame Manifesto della Razza del 1938 giustificava la discriminazione su presunte basi scientifiche. Il manifesto, puramente funzionale alle logiche di potere e alla sciagurata alleanza con la Germania nazista, giustificava su basi falsamente scientifiche la diversità delle razze e le loro gerarchie. Oggi, mutatis mutandis, con basi pseudo scientifiche si è preteso di giustificare la discriminazione degli esseri umani che è tornata a realizzarsi anche nel nostro presente. Se discriminare è orrendo, non la si può accettare solo perché ha il placet del medico. Se è falsa, lo è sempre. Se va combattuta, deve essere sempre combattuta“. Diceva Antonio Gramsci che “la Storia insegna, ma non ha scolari“. “Qui – prosegue il filosofo – la storia viene insegnata nelle aula del Parlamento, in un discorso di cui sottoscrivo anche le virgole (quello di Segre, ndr), e che andrebbe trasmesso in prima serata su tutti i canali e diffuso su tutti i giornali, non deve restare lettera morta. Se era valido riguardo la discriminazione subita dalla senatrice Liliana Segre, deve esserlo anche oggi, altrimenti dalla Storia non abbiamo imparato nulla“.

Oggi, quella lezione l’ha appresa chi si oppone a queste discriminazioni e non accetta che i cittadini siano divisi in cittadini di serie a e di serie b in base all’infame tessera verde, con cui si giura fedeltà al nuovo ordine di un potere biopolitico che controlla e discrimina su base falsamente medico scientifico, come dimostrano le parole di pfizer. Il siero benedetto non produce immunizzazione, ma al massimo attenua i sintomi“. Già Primo Levi e Hannah Arendt avevano smascherato questo meccanismo. “Chi commette queste cose lo fa ingenuamente, pensando di fare del bene. E’ la banalità del male. Chi ci ha privato della libertà in questi due anni lo ha fatto pensando sinceramente di fare del bene, proprio come chi amministrava i campi di sterminio semplicemente perché obbediva a degli ordini, senza porsi la questione morale del bene o del male. Erano solo grigi burocrati. Il bene è profondo, il male è superficiale. Abbiamo bisogno di una riflessione culturale, non di questa vacua profondità“.